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venerdì 10 novembre 2023

Presentazione del racconto Celinne

Si racconta la storia di un profugo latinoamericano che cerca di guarire dalle ferite emotive subite e essere stato stuprato in prigione.  Lo stupro ai uomini, un argomento tabù del quale sappiamo che è ancora meno riportato di quello sulle donne, è al centro della narrazione. Il racconto di Fabrizio si focalizza su un uomo che lotta per guarire di questa esperienza traumatica. Racconta il rapporto con donne che non riescono a comprendere il suo dolore, perché anche loro sono vittime della masculinità egemonica e tossica della nostra società.  Una di loro addirittura  attraverso il filtro del suo dolore che solo gli permette vedere agli  uomini stereotipicamente come aggressori. L'incomprensione e il distacco incontrati è un invito a riflettere sui lati sorprendenti della masculinita egemonica che valuta la durezza, la dominanza e il distacco emotivo. Per gli uomini, ciò può creare pressione nel conformarsi a questi ideali, spesso a scapito della loro salute mentale o benessere, in particolare se hanno subito traumi o violenze sessuali, in quanto ciò può entrare in conflitto con le nozioni di essere forti o invulnerabili. Per le donne, la mascolinità egemonica può perpetuare la disuguaglianza di genere e giustificare la subordinazione delle donne e degli uomini non egemonici. Spesso perpetua dinamiche di potere nocive e scoraggia l'espressione della vulnerabilità, che può inibire sia gli uomini che le donne dal cercare aiuto o dall'esprimere emozioni. Su questo sfondo il protagonista di questo racconto cerca di costruire resilienza nonostante tutto.

La storia colpisce emotivamente i lettori, toccando temi come la vulnerabilità, la lotta con i demoni del passato e la ricerca di comprensione e accettazione. Il viaggio introspettivo del protagonista e le complessità delle relazioni umane emergono, insieme alle sfide nel rivelare i propri dolori più celati.

I lettori che hanno vissuto lotte simili possono trovare solidarietà nella storia del protagonista, mentre altri possono apprezzare la resilienza che deriva dal confrontarsi e accettare il proprio passato. La struttura narrativa, che intreccia il trauma passato con le relazioni presenti e la ricerca di un confidente che possa veramente comprendere, potrebbe risonare emotivamente, spingendo i lettori a riflettere sulle proprie esperienze di guarigione e sul potere del collegamento umano.

Lo sviluppo del personaggio è sfaccettato, mostrando un protagonista profondamente influenzato dal passato ma capace di crescita e introspezione. La sua lotta interna con un evento traumatico viene ritratta con complessità, illustrando gli effetti duraturi di tale esperienza sul senso di sé e sulle interazioni con gli altri.

La trama del racconto si snoda attraverso temi di trauma, recupero e ricerca di comprensione e intimità, coinvolgendo i lettori nell'esplorazione del viaggio emotivo complesso del protagonista, delle sue interazioni con altri e della lotta per trovare qualcuno che lo comprenda veramente. La narrazione, oscillando tra passato e presente, i pensieri interni del personaggio e le sue interazioni, contribuisce a una trama che mantiene l'attenzione del lettore per la sua profondità e risonanza emotiva.

Trovate il racconto qua:

 

sabato 24 giugno 2023

Celinne (It)

Presto la versione elettronica della 'raccolta di racconti del bloody migrant' sarà disponibile solo su Kindle




Non avrei mai immaginato che il veleno del serpente, dopo molti anni, si sarebbe manifestato in modi cosi imprevedibili.

Quel giorno eravamo  fuori dall’ufficio, durante la pausa pranzo. Eravamo seduti vicino all’uscita posteriore, davanti al parcheggio, a ridosso dell’autostrada. Deborah stava fumando una sigaretta. Quella era proprio l’autostrada che avevo percorso la prima volta che arrivai in Yorkshire molti anni prima, senza sapere che sarei finito a lavorare a Leeds, una città che sarebbe poi divenuta la mia residenza per molti anni.

Quella mattina, Deborah mi sussurrò queste parole:

-Solo una donna sa come ci si sente quando il suo corpo viene penetrato dal membro di uno stupratore.

Rimasi in silenzio, per rispetto, permettendo al suo dolore di penetrare dentro di me. Abbiamo tutti degli scheletri nell’armadio, pensai. Volevo mostrarle la mia comprensione, la mia solidarietà, il mio affetto. Volevo dirle qualcosa come: “Non è stata colpa tua”, ma mi parve un commento sciocco ed inopportuno. Avrei voluto dirle: “ Hai incontrato un mostro sul tuo percorso che ti ha usato, è stato un incidente, come un mattone che ti cade in testa da un palazzo in costruzione, tutto qua”. Ma tutte queste parole non dette mi sembravano goffe e inappropriate, perciò rimasi in silenzio, rispettosamente, ma anche quel silenzio mi parve goffo ed inappropriato.

Dirle che tante persone vivono esperienze simili, o anche peggiori, sarebbe stato inutile. Non è ciò che ha bisogno di sentire, pensai. C’è sempre qualcuno che sta peggio di te, e c’è sempre qualcuno pronto a paragonare il tuo dolore con quello di qualcun’ altro. Non sarei stato uno di quelli.

-Adesso sei qui, al sicuro - fu l’unica cosa che riuscii a dire, mentre le prendevo la mano. Lei allontanò la mia mano dalla sua, ma io continuai ad ascoltarla e a lasciare che il suo dolore penetrasse dentro di me. Mi parve che prenderle la mano fosse stato un gesto estremamente fuori luogo: la sua sofferenza era dovuta al fatto che qualcuno avesse abusato del suo corpo ed io le avevo preso la mano. Che gesto insensato ed insensibile. Che idiota che sono.

-Non puoi capire cosa si prova, perché non sai cosa significa essere molestati per tutta la vita, fin dall’infanzia, quando non conosci neanche il significato della parola molestia- Probabilmente, stava ripensando a ciò che mi aveva raccontato poco prima, un evento che le era accaduto da bambina, quando un pedofilo le aveva sorriso dal finestrino della sua macchina mentre lei era seduta sul pullmino della scuola. Pochi secondi dopo, lo aveva sorpreso a masturbarsi alla guida. A quell’età non poteva sapere cosa quell’uomo stesse facendo, ma aveva avuto la sensazione che si trattasse di qualcosa di sporco e sbagliato.

-Tu non puoi sentire quello che sentiamo noi - disse, quasi con orgoglio -Devi passare per la stessa situazione per capire, ma sei un uomo, e tutti gli stupratori sono uomini.

Rimasi in silenzio, rispettosamente. Sapevo che sarebbe stato inutile dirle che i pedofili perseguitano sia i bambini che le bambine, e sarebbe stato polemico ricordarle che anche i bambini possono essere vittime di pratiche sessuali fortemente umilianti. Ma a che scopo? Deborah aveva bisogno di sostegno ed io pensai che solo il mio silenzio potesse alleviare il peso dei suoi ricordi. Quindi rimasi ancora in silenzio ad ascoltarla, e potevo udire l’eco delle sue parole rimbombando nella mia mente: tutti gli stupratori sono uomini. Quelle parole rendevano difficile il poter provare completa empatia per le vittime, poterne far parte, essere come loro. In un angolo della sua mente giaceva l’idea che io fossi il nemico, e ciò creava distanza fra noi. Feci attenzione a non prenderle nuovamente la mano, dato che ai suoi occhi non ero nient’altro che un  potenziale stupratore, ma il mio volto doveva celare uno sguardo di comprensione, perchè Deborah ebbe una reazione piuttosto infastidita, e disse:

-Anche quando una donna non ha mai subito uno stupro o una molestia, riesce a capire cosa significa. Noi  donne siamo sensibili ed emotivamente ricettive, femminili, appunto. Voi uomini siete rigidi e chiusi, o perlomeno è ciò che vi viene insegnato. Siamo diversi, perciò tu non potrai mai comprendere come ci si sente ad essere abusati sessualmente …

A quel punto, io smisi di ascoltare. L’unica cosa che riuscivo ad udire era il suo tono di voce accusatorio, ma la mia mente si era completamente distaccata. Osservavo le macchine che uscivano dall’autostrada e percepivo il rumore dei loro motori, ma non facevo neanche caso al traffico.  I miei pensieri tornarono indietro, al giorno in cui fui stuprato.

Quel giorno mi picchiarono dappertutto, ma io non sentivo neanche il dolore dei colpi, forse a causa dell’adrenalina, della paura e della rabbia, ma la mia mente non era abbastanza offuscata da non registrare il contatto del mio corpo col membro del tipo che cercava di penetrarmi. All’inizio fece fatica e gli altri prigionieri si misero a ridere, ma ad un tratto successe. Sentii qualcosa entrare dentro il mio ano e provai una sensazione di profonda umiliazione. “Verga, me estan cogiendo”, pensai. Cazzo, mi stanno inculando. Sentii un fuoco nel petto, e cominciai a piangere. Non volevo che gli altri prigionieri mi vedessero piangere, ma non riuscii a resistere. “Llora, mamita”, piangi frocio, gridavano mentre ridevano di me. Allora io decisi di concentrarmi solo su un’idea: ciò che stava accadendo non era né colpa mia né una mia decisione, ma responsabilità e scelta di quella bestia mostruosa alle mie spalle. Pensai intensamente a ciò che Julio Escalona, un ex guerrillero, mi aveva detto di fare se mai mi fossi trovato sotto tortura: proteggi la tua anima. Dovevo proteggere la mia anima, perché il mio corpo, momentaneamente, non mi apparteneva più.

 

Deborah continuava a parlare mentre i ricordi di quel giorno riaffioravano confusamente, come dei flashback sparsi qua e là. Il petto in fiamme, i pensieri in un vortice e una sola ancora di salvezza: le parole di Julio che mi preparavano alla possibilità di essere torturato, dato che avevo deciso di entrare nel partito. Il torturatore, mi aveva spiegato Julio, è una persona piena di odio che è consapevole della tua natura amorevole. Non ha ideali, ma sa che tu ne hai; soffre, perché si sente inferiore, ignorante, meschino, e odia la tua generosità, la tua saggezza, la tua consapevolezza. Vuole farti diventare come lui, una bestia. Vuole sentirsi superiore a te, ma soprattutto desidera che tu diventi come lui. Vuole darti una lezione perché ritiene di sapere come funziona il mondo, mentre tu non lo sai. Perciò l’unica cosa che può salvarti dalla pazzia in una situazione come quella è la consapevolezza che passerà e che lui rimarrà ciò che è, e tu ciò che sei. Passerà e tu rimarrai ciò che sei, non diventerai un mostro. Ma l’unica maniera per non perdere te stesso sarà capire che è stato solo un incidente, nient’altro.

I flashback andavano e venivano, mentre le parole di Julio erano ancora chiare e presenti e facevano parte del mio armamentario difensivo nella mia lotta contro i cattivi ricordi. La mente è potente, quegli attimi passeranno, ma ciò non cambia la realtà. La sensazione del suo membro che penetra dentro di me molteplici volte è reale, così come il dolore che ne consegue e l’umiliazione a cui si aggiunge la rabbia che mi brucia in petto e la vista degli altri prigionieri che urlano: “Dale duro, llora mamita”. Rompigli il culo a quel frocio, fallo piangere. Dolore, umiliazione e disgusto, non saprei dire quale sia peggio. Tutti questi ricordi riaffiorarono improvvisamente insieme a fantasie di vendetta, in cui io mi facevo valere e ammazzavo tutti i presenti fracassandogli la testa contro il muro, il pavimento, le scale. Quante volte avevo immaginato di far soffrire a quei mostri le pene dell’inferno, e in quel modo trovare un riscatto al mio dolore. All’improvviso i miei pensieri vennero interrotti.

-E per questo motivo, tu non puoi capire - concluse Deborah.

Chissà quali altre idee aveva espresso fino ad allora, ma le sue conclusioni erano chiare: io non potevo sentire quello che sentiva lei, io ero l’altro, l’aguzzino. A quel punto, sentii il bisogno di farle sapere che si sbagliava. Fui travolto da emozioni contrastanti. Da un lato, desideravo creare un ponte tra noi, per potermi avvicinare a quell’essere umano che stava soffrendo; dall’altro lato, rifiutavo l’idea di usare il mio dolore per stemperare la sua rabbia nei miei confronti, in quanto rappresentante, in quella circostanza, del genere maschile, degli stupratori. Infine, mi sentii incoraggiato a rivelare ciò che mi era successo mentre ero in prigione. Ebbi un dubbio e aspettai. Poi mi decisi a parlare. Le mie gambe tremavano, mentre, con la voce rotta, le rivelavo i dettagli più crudi di quell’esperienza. All’improvviso, come se non avesse ascoltato nulla di ciò che le stavo dicendo, mi chiese:

-Sei stato stuprato?

La sua domanda mi fece sentire molto a disagio, dato che non vi era nessun dubbio su ciò che era accaduto. Il tempo per la pausa pranzo stava per finire, così Deborah terminò di fumare la sua sigaretta in silenzio e tornammo a lavoro. Una volta rientrati in ufficio, mi salutò e nei due giorni successivi evitò di parlarmi.

Il terzo giorno Carolina, la mia collega spagnola, mi disse che aveva parlato con Deborah, la quale si era lamentata del fatto che io avessi tirato fuori delle questioni personali. Disse che Deborah le aveva confessato di essersi sentita a disagio durante quel dialogo. A disagio?

-Sei sicura che ti abbia detto così? - le chiesi.

-Sicurissima. Di cosa avete parlato? - mi domandò

-Cose personali, è vero … lasciamo stare …

Non potevo crederci. Le avevo rivelato il più intimo dei miei segreti, aveva visto come le mie gambe tremassero e udito la mia voce rotta dall’emozione, ma la sua unica reazione era stata quella di sentirsi a disagio … pensai che forse non aveva capito bene, che si era distratta mentre le raccontavo quelle cose, che anche a me a volte succede di non prestare attenzione a ciò che mi viene detto, perso nei miei pensieri …

Nei giorni a seguire, presi le distanze da lei. Potevo vederla dall’altro lato della stanza, seduta alla sua scrivania,  concentrata sul computer e sul lavoro da svolgere, ma evitavo di incrociare il suo sguardo, perché sapevo che mi avrebbe ferito. Per fortuna, poco tempo dopo, trovò un altro lavoro e se ne andò. Da parte mia, imparai a mantenere le distanze da qualunque donna che facesse grandi apologie sul genere femminile. Mi ritengo di essere un uomo che sta dalla parte delle donne, e lo sarò sempre, ma era ovvio che dovevo stare alla larga da donne come Deborah, per il mio bene. Donne che non amano le altre donne, ma semplicemente odiano gli uomini. Lei era per il movimento femminista ciò che i comunisti “radical-chic” furono per il mio popolo in lotta. Avevo preso le distanze da questa tipologia di comunisti, e decisi che non avrei mai più rivelato ad una donna che si fosse proclamata superiore a me nella sua capacità di comprensione dei fatti, solo in quanto appartenente al genere femminile, ciò che mi era accaduto. Mai più. Sarebbe stato come dare al mio stupratore un’altra soddisfazione, quella di aver avuto ragione nel pensare che nessuna donna mi avrebbe più rispettato a causa di quella violenza; col suo comportamento, Deborah aveva completato l’opera del mio aguzzino. Avrei voluto andare fuori casa sua, davanti alla porta di casa, premere il campanello e aspettare che aprisse, per poi urlarle in faccia:

-Hai fatto un ottimo lavoro, stronza. Vaffanculo –, ma non lo feci.

Passarono i mesi, e poi gli anni. Mi lasciai alle spalle l’accaduto, ma tenni fede alla promessa che avevo fatto a me stesso, di mantenere le distanze da qualunque donna che facesse grandi proclami, e non mi era difficile farlo, dato che facevo la stessa cosa con i comunisti radical-chic, come li chiamavo io, e i cristiani ferventi, sempre pronti ad abusare del nome di Dio, del Signore e di Gesù Cristo. Per il resto, mi sentivo in pace con le donne in generale, comprese le femministe, in particolare con Katerine.

Katerine fu la seconda donna a cui rivelai ciò che mi era accaduto. La amavo, e poco dopo averla conosciuta cominciai a pensare che potesse divenire la mia compagna. Era una donna piena di energia e desiderosa di impegnarsi in una relazione e queste cose mi fecero sperare che fosse la persona più adatta a me. La desideravo tantissimo. Era una donna molto comprensiva ed empatica, ed anche lei lavorava nel mio stesso ufficio. Per costruire una relazione con lei, dovevo necessariamente condividere i miei pensieri più intimi, i miei problemi e le mie esperienze passate. Dovevo mostrarle la mia anima, o almeno così credevo. Deborah se n’era andata già da qualche anno, aveva trovato un altro lavoro con più responsabilità e pagato di più; per fortuna non l’avevo più vista. Dovevo fare attenzione a non mostrare mai più quella parte rovinata della mia anima ad un’altra Deborah, ma pensavo che Katerine fosse diversa. La dolcezza della sua voce, la calma con la quale interagiva con me, i suoi sguardi e l’attenzione con cui mi ascoltava non avevano nulla a che fare con Deborah. Di fatto, me la fecero dimenticare.

L’amicizia con Katerine si fece sempre più profonda. Spesso camminavamo dall’ufficio alla stazione dei treni insieme, e a volte ci fermavamo per una birra in qualche pub. Un giorno ci trovavamo alla stazione di Leeds ad aspettare i nostri treni per Bingley e Saltaire, ma per qualche motivo c’erano dei ritardi. Stavamo chiacchierando e come al solito lei mi aveva preso la mano. Lentamente mi accorsi che qualcosa stava succedendo: Katerine guardava le mie labbra e improvvisamente smise di parlare. Cominciò ad inumidire le sue con la lingua, un po’ alla volta, e a sfiorare il mio stomaco con la mano. Mi sentii eccitato da ciò che stava accadendo proprio lì, alla stazione, vicino al binario dei treni. Avevo smesso di prestare attenzione a ciò che diceva nel momento in cui mi ero accorto che stava tenendo la mia mano più a lungo del solito, e il mio desidero nei suoi confronti crebbe, ma mi trattenni. Calmati, mi dissi, non farti travolgere da idee sbagliate. Katerine è una collega ed un’amica, non rovinare tutto. Ma non potevo controllare le reazioni del mio corpo e lei si accorse che le stavo guardando le gambe, desideroso di infilare la testa tra quelle cosce deliziose. I segni del mio desiderio diventavano sempre più evidenti e rompevano le barriere che le parole, pronunciate timidamente, cercavano a stento di mantenere. Cominciò a piovere e in quel momento arrivò il mio treno. Con uno sguardo malizioso, Katerine sali con me sul vagone, diretto a Saltaire. Fu una sua decisione.

Il treno viaggiò alla velocità della luce e il tempo sembrò dissolversi. Lei mi parlava ma io non la ascoltavo, perché l’unica cosa a cui potevo pensare era il desiderio di farla mia. Succede sempre così, all’improvviso perdo il filo del discorso perché l’istinto prevale e tutte le mie buone intenzioni femministe svaniscono. Lei cerca di colpirmi con i suoi discorsi e la sua intelligenza, ma io non ascolto più e smetto di ragionare. Vorrei solo avvicinarmi a lei e cominciare a baciarla, ma non lo faccio mai.  Anche se sto perdendo coscienza di me stesso, in qualche modo riesco a controllarmi e aspetto che sia lei a fare il primo passo. Ma nessuno dei due fece nulla durante il viaggio in treno, e così arrivammo a Saltaire e decidemmo di fermarci in un bar, che un tempo era stato una stazione del tram, un posto molto conosciuto in città. Prendemmo qualcosa da bere e da mangiare, dopodiché ce ne andammo verso una destinazione ignota. Ci baciammo nel momento in cui lei si stancò di aspettare che io facessi la prima mossa. Fu lei a decidere il momento propizio: si fermò davanti a me, mi guardò negli occhi e sorrise.

Dopo esserci baciati, sentii immediatamente la necessità di rivelarle quel segreto che mi lacerava l’anima. Dovevo confessarle la verità, spiegarle che ero stato un uomo ferito ed umiliato. Non potevo evitarlo, se volevo creare una relazione autentica con un altro essere umano. Camminammo l’uno accanto all’altra tenendoci la mano, ed arrivammo ad una panchina nel parco. C’era ancora molta luce, perché in Inghilterra le giornate primaverili sono molto lunghe e quando c’è il sole appaiono ancora più belle, in contrasto con i giorni di pioggia, che sono molto frequenti. Era un giorno speciale, perfetto per rivelare la verità. Sentivo un profondo amore, ma anche molta paura. Temevo di poter essere rifiutato. Ancora una volta, la mia voce si ruppe e le mie gambe cominciarono a tremare. Mi avvicinai alla panchina e mi sedetti, perché facevo fatica a stare in piedi. Di nuovo, stavo lasciando che quei ricordi, che avevo cercato di cancellare disperatamente, riaffiorassero. A volte quei ricordi ritornavano inaspettati e mi riempivano di dolore e sgomento, ma volevo che Katerine conoscesse questo fantasma, uno dei tanti, e cosi cominciai a raccontarle dell’accaduto. Lei mi ascoltò con attenzione, fino alla fine. Non inventò nessuna scusa per sfuggire a quella confessione, né ebbe bisogno di chiedermi se ciò di cui stavo parlando fosse una violenza sessuale. Fu semplicemente perfetta e mi fece sentire amato ed accettato. Quando ci alzammo dalla panchina, mi abbracciò a lungo. Adesso che le avevo rivelato il mio segreto più oscuro, potevo farle l’amore. Il veleno lasciato dal serpente era stato spurgato.

Riprendemmo a camminare mano nella mano, ed io mi sentivo leggero, liberato infine dal carico di adrenalina che la paura del rifiuto aveva creato. Ero pronto e desideroso di unire il mio corpo al suo, di baciarla ovunque, di sentire che eravamo una cosa sola. Il mio cuore batteva all’impazzata quando arrivammo al mio appartamento. Katerine disse qualcosa, ma io non capii. Il mio cervello si era ormai chiuso a qualunque messaggio che non fosse direttamente legato a ciò che stava per succedere. Le afferrai una mano e cominciai a dirigermi verso la camera da letto. Contro le mie aspettative, Katerine fece resistenza e girò la testa in direzione del divano. Il suo comportamento indicava chiaramente che non aveva intenzione di fare l’amore, ma dato che mi era difficile poterlo credere, si decise a parlare:

-Non ancora- credo che disse.

-Va bene, non ti preoccupare, non c’è fretta - risposi immediatamente, come se fosse tutto chiaro. Pensai che forse non era il momento giusto, magari aveva il ciclo e poteva sentirsi in difficoltà, forse era come Isabel, che rifiutava categoricamente di avere sesso in quei giorni. Ma mi sbagliavo, e come se il linguaggio del corpo non bastasse, anche le parole che più temevo furono pronunciate.

-Ti vedo solo come un amico.

Odiavo quella frase. Prima o poi, avrei trovato il coraggio per rispondere: “Anche io ti vedo solo come un’amica. Non voglio mica sposarti, voglio solo scopare”. Come posso essere amico di una donna che non mi considera per quello che sono? Ero sicuro di ciò che stava accadendo: ci eravamo baciati, lei era salita sul treno con me, e il desiderio sessuale era cresciuto sempre di più. Semplicemente aveva cambiato idea nel momento in cui le avevo rivelato il mio segreto. Ancora una volta, sentii quell’orribile sensazione di rifiuto. Il mio aguzzino aveva vinto di nuovo. Potevo vederlo sghignazzare  insieme a tutti gli altri prigionieri, con quel sorriso sdentato e dire soddisfatto: Ti ho inculato di nuovo, stronzo. Nessuna donna ti rispetterà mai più. Il veleno che pensavo si fosse quasi estinto dal mio corpo, riprese improvvisamente a scorrere nelle vene.

Presi le distanze da Katerine. Sapevo che non era una persona cattiva e che forse avrebbe anche voluto mettersi in discussione per me; ero consapevole del fatto che abbiamo tutti delle contraddizioni e a volte le emozioni prendono il sopravvento sulle nostre convinzioni. Non possiamo sempre controllare le nostre reazioni: una persona può essere vegetariana e allo stesso tempo amare l’odore del bacon fritto, succede. Katerine non riusciva a vedermi come un uomo, dopo aver saputo del mio incidente, succede. Dovevo accettare che il nostro cervello è fatto così, non può sempre assecondare le nostre convinzioni più sofisticate. Spesso, sono gli istinti a prevalere e non sempre si riesce a cambiarli. E’ così che funziona, è un sistema difettoso, ma bisogna accettarlo. Razionalmente, riuscivo a comprendere il suo comportamento, ma era difficile accettare di essere scartati come spazzatura. Così un po’ alla volta, presi le distanze da lei. Non volevo ferirla né creare un dramma, semplicemente smisi di cercarla e anche lei sembrò perdere interesse nei miei confronti. Arrivò il giorno in cui decisi di non chiamarla più.

Quel giorno, ero particolarmente triste. Stavo camminando lungo il bordo del canale a Saltaire e avrei voluto parlare con qualcuno. Presi il telefono in mano e cercai il suo nome tra i miei contatti, ma non la chiamai. Nuovamente, presi la stessa risolutiva decisione di un tempo: non avrei mai più parlato del mio incidente con anima viva. Mai più. Julio Escalona si sbagliava o perlomeno non mi aveva detto tutta la verità. La verità era che sarei stato solo a combattere contro il mio aguzzino, per il resto della mia vita. Neanche Dio sarebbe stato al mio fianco. Nessuno. Così è la vita, brutale ed io avevo avuto la mia porzione di brutalità. L’unica maniera per vivere dignitosamente, era di mantenere il segreto. Perché mai avrei dovuto rivelare chi e come aveva penetrato il mio ano? E’ una cosa importante solo per me, perché io ritengo di essere stato umiliato e lascio che questi pensieri crescano dentro di me. La verità non è così importante, l’unica cosa che conta è la mia vita, le mie lotte, le mie vittorie, non quell’incidente! E il modo in cui ragionano gli altri, anche quello è un incidente, un difetto di fabbrica. Quindi l’unica via percorribile nella mia situazione è quella di mantenere il segreto. Se mai avessi incontrato una donna immune al mio veleno, che si fosse innamorata di me, le avrei fatto sentire tutta la potenza del mio amore, che è immensa, e la mia volontà ad accettare tutto di lei. Troverei un modo per farle capire che ogni cellula del mio corpo è pronta ad accettarla per quello che è, e ad accettare tutto ciò che da lei proviene, ogni sua debolezza, ogni sua vergogna, tutto. Avevo dovuto riconnettere il mio cervello per riuscire ad accettarmi, e questa era la ragione principale per cui sarei stato in grado di amare il prossimo come nessun altro. Io sono un sopravvissuto, sono più forte degli altri. Possiedo antidoti per veleni molto potenti e ne sono consapevole.

Passarono gli anni. Sopravvissi alla morte del mostro Zamani, alle lotte dei Bajunis, al suicidio di Mamosta, alle stronzate della Brexit che fecero merda del mio cervello; Mohammed ottenne i suoi voucher extra, mi accusarono della morte del figlio di Hirut e dello stress di Jonathan, finalmente feci fuori Charlotte. Avevo abbastanza nuovi traumi da dimenticare le mie vicissitudini in Venezuela, finchè vidi il corpo senza vita di Sofia, e decisi che dovevo scrivere su di lei. Sarebbe stato facile sedermi da qualche parte e farlo e così comprai un biglietto per la Sicilia, e me ne andai.

Scelsi Palermo. Fenicia, greca, romana, araba, bizantina, normanna, spagnola ed infine, italiana. I resti di tutto ciò che di buono e di meno buono ci furono nel mondo occidentale si trovano qui, presenti nella sua architettura, cultura e gastronomia. Ci sono montagne per arrampicarsi  e spiagge per andare a nuotare. Quando l’aereo atterrò, provai una forte emozione alla vista del Monte Pellegrino, del mare da un lato e della città dall’altro, proprio come a Caracas. Qui avrei scritto il mio libro per Sofia, magari con l’appoggio di un’amante italiana, passionale e sensibile, al mio fianco, ben diversa dalle donne che avevo frequentato in Inghilterra. Il sole del mar Mediterraneo mi avrebbe aiutato a rinfrescare la mente, e fu così che conobbi una poetessa, Helene.

In effetti, Helene era unica. Innanzitutto parlava francese, e il suo inglese aveva quella particolare intonazione che mi piaceva da matti; poi era così diversa dalle persone che avevo conosciuto in Gran Bretagna, soprattutto non beveva come loro. Forse posso diventare un suo caro amico, pensai poco dopo averla conosciuta. Le rivelai molti dei miei problemi e lei mi ascoltò sempre con grande attenzione, ma non le dissi mai dell’incidente. Helene amava passeggiare con me lungo la Marina di Palermo e vicino al Foro Italico, un bellissimo viale accanto al mare. Da lì si scorgono le montagne e si vede il mare, la città vecchia e in lontananza i palazzi di Bagheria, il paese dove furono girate molte scene di Cinema Paradiso. I rumori della città si mescolano distanti al suono delle onde che si infrangono sugli scogli. Tutt’intorno si vedono bambini che giocano, ragazzi che chiacchierano, anziani che passeggiano e amanti che si baciano. Ci trovavamo in questo lungo anche il giorno in cui Helene cominciò a parlarmi del suo segreto, e così seppi che anche lei aveva subito un incidente, simile al mio. Era addirittura finita in ospedale a causa di quella violenza, in Canada, ma disse che ormai era acqua passata. Tornammo in ostello senza aprire bocca, ed io pensai che il mio silenzio le aveva forse fatto pensare che avevo accolto completamente il suo dolore dentro di me. E così passò quel giorno, e molti altri. Tornammo molte volte sul Foro Italico e vicino alla Marina, e ogni volta riconoscevamo dei volti che avevamo già visto. Parlavamo dei nostri sogni, del libro che lei stava scrivendo e delle sue poesie. Parlavamo anche del futuro e a me parve che l’aver saputo del suo incidente ci avesse fatto avvicinare.

Camminavamo tra le strade della parte vecchia di Palermo ed io ascoltavo con piacere qualunque cosa lei avesse da dirmi. Mi leggeva le sue poesie in francese, e con pazienza, mi dava tempo per comprenderle ed assimilarle, dato che il mio francese non è molto buono. Volle leggermi anche  le poesie tratte dal suo “libro rosso”, e tra quelle le più audaci. Anche io le parlavo di me, del mostro Zamani, del mio lavoro con la Croce Rossa, di Hirut e del libro per Sofia, ma non accennai mai al mio incidente. La nostra amicizia rimase forte, e io continuai a mantenere il mio segreto. Ogni tanto Helene partiva alla scoperta di luoghi sconosciuti in Sicilia, ed ogni volta che tornava, aveva qualche storia da raccontare, non perché qualcosa di particolare fosse accaduto, ma perché aveva un modo di narrare le cose che rendeva ogni vicenda speciale. Io aspettavo con impazienza il suo ritorno, desideroso di conoscere, attraverso i suoi racconti,  nuove città, nuovi paesi e montagne e mari. Un giorno, di ritorno da uno dei suoi viaggi, mi chiese se potessi condividere la mia stanza con lei, dato che l’ostello dove alloggiavamo era pieno. Accettai senza esitazione, sapendo che la sua richiesta non aveva alcun fine erotico. In qualche modo, conoscerla cosi intimamente non aveva suscitato nessun desiderio sessuale in me, stranamente. Pensai che forse stavo cominciando ad invecchiare.

-Posso stare su quel divanetto che c’è in camera tua, se non è un problema per te - disse.

-Certamente – risposi. Non sarebbe stato un problema neanche per il proprietario, e magari avrebbe anche potuto risparmiare qualcosa.

- Potremo chiacchierare a lungo prima di andare a dormire.

-Si, certo, mi farebbe piacere avere qualcuno con cui chiacchierare, se vuoi possiamo condividere la mia stanza ogni qualvolta tornerai da uno dei tuoi viaggi, cosi non devi neanche pagare per un letto – le dissi.

-Non lo faccio per i soldi, ma se risparmiassi qualcosa non sarebbe male – mi rispose ringraziandomi.

Purtroppo, arrivò il giorno in cui scoprii che anche in Sicilia ci sono serpenti velenosi. Helene era andata a Taormina, un’antica colonia ateniese  dove i greci costruirono il teatro più spettacolare al mondo. Dietro lo scenario, si intravede il vulcano fumante da un lato, e il mare dall’altro. A Helene era piaciuta la vista del vulcano, aveva fatto molte cose e scritto dei versi per il suo libro rosso. Al ritorno aveva spostato tutte le sue cose in quella che sarebbe diventata la nostra stanza. Mangiammo delle patatine e un po’ di noccioline, dopodiché cominciò a riporre i suoi vestiti nell’armadio, senza sapere cosa stessi aspettando. Io attendevo con ansia di ascoltare il racconto del suo viaggio, quindi appena ebbe finito di mettere via le sue cose, ci sedemmo sul divanetto. Un improvviso desiderio di intimità mi avvolse. Non era desiderio sessuale, ma solo voglia di intimità: era chiaro che lei era la persona giusta, a cui potevo rivelare il mio segreto. D’altronde, anche lei era passata per lo stesso inferno, anche lei aveva avuto il mio stesso incidente. I ricordi dell’accaduto cominciarono ad affiorare, ed io cominciai a parlare.

-Sono stato torturato. So cosa si prova ad essere stuprati.

Di nuovo, ebbi quella sensazione di panico che provo ogni qualvolta parlo dell’accaduto. Le gambe cominciarono a tremare, e poi tutto il corpo. Questa volta però, feci attenzione a prendere delle pause durante il mio racconto, in modo che le mie parole potessero essere udite chiaramente. Non volevo che accadesse quello che era successo con Deborah, che al termine della mia confessione, aveva ritenuto necessario chiedermi se ero stato violentato, come se ciò non fosse stato chiaramente espresso dalle mie parole.

-So che il danno maggiore è psicologico, soprattutto per l’umiliazione che ne consegue e il ricordo dell’accaduto. Poi subentra il desiderio di vendetta, di fargliela pagare a quei mostri. La percezione di te stesso cambia, e a volte ti sembra di essere divenuto uno stereotipo, una specie di caso umano …

Stavo ancora finendo il mio discorso ma Helene mi interruppe.

-Scusami, tesoro. Non posso ascoltarti oltre. E’ meglio se vado da un’altra parte. Davvero, non è colpa tua, ma devo pensare a me stessa – disse, e uscì dalla stanza.

Da quel momento in poi evitò di parlarmi, ed ogni volta che partiva per uno dei suoi viaggi, non mi diceva più né dove andava, né quando sarebbe tornata. Ogni volta che la vedevo, provavo un enorme dolore. Ancora una volta, mi sentii messo in discussione in quanto uomo, anche se stavolta non capivo come avesse potuto succedere di nuovo. Mi sentii stupido perché avevo voluto nuovamente parlare del mio incidente con una donna. Capii che avevo incontrato un altro serpente, molto velenoso, e nuovamente dissi a me stesso: mai più. Da quel momento in poi, persi completamente la speranza di poter incontrare una donna che potesse divenire la mia compagna. Non avrei mai più commesso quell’errore, eppure non fu così, perché conobbi te, Celine. Tu mi hai fatto far pace con le donne, col femminismo, con la vita. Tu mi hai dato la forza e l’ispirazione per scrivere la storia che scriverò dopo aver finito il libro per Sofia. Se mai uscirò vivo da questo inferno, Celine, scriverò di te.

Mi hai aiutato a curare il mio dolore, mi hai preso per mano quando ti ho raccontato del mio incidente e hai accolto la mia sofferenza; quando che il momento della confessione terminò, mi hai fatto sentire nuovamente uomo. Hai accettato il mio desiderio e mi hai dato l’opportunità di amarti, di farti eccitare, di baciarti dappertutto. Hai goduto nel vedermi assaporare i tuoi succhi, e hai sorriso quando ti ho penetrato con tutta la mia forza. Hai ascoltato con gioia le parole dolci che ho sussurrato al tuo orecchio quando i nostri corpi si sono fermati, bagnati di sudore. Mi hai abbracciato per proteggermi dal freddo, e hai toccato ogni parte del mio corpo. Hai voluto che esplorassi il tuo, ed entrambi abbiamo gioito di aver goduto dei nostri corpi. Ad ogni modo, la parte migliore è stata poter parlare con te mentre eravamo ancora a letto. Avevo bisogno di rivelarti i miei demoni, e una volta imprigionati, ho voluto che vedessi la mia anima di bambino, nascosta dietro la mia apparenza di intellettuale snob, ma ancora presente dentro di me. Volevo che conoscessi tutto di me, in modo che io potessi a mia volta ricevere tutto di te. Hai ingoiato il mio veleno e lo hai risputato, dandomi la possibilità di ricominciare di nuovo. Ti amo.

-Dovresti scrivere qualcosa su queste vicende, sei così bravo a raccontare storie- mi hai detto.

-Ma come posso parlare di me con sincerità, questa storia è troppo sporca.

-Forse la cosa migliore sarebbe inventare una vicenda verosimile, non raccontare esattamente la tua storia – mi hai risposto.

In quel momento pensai che eri la persona giusta per stare accanto ad un aspirante genio, ma la realtà è che tu sei il genio ed io sono solo un operaio al tuo servizio.

-Non importa chi è il genio, la cosa importante è creare un’opera d’arte che parli dell’intimità tra chi si ama - aggiungesti, indovinando i miei pensieri. Capivo perfettamente cosa volessi dire: la tua comprensione dei miei demoni mi aveva riempito l’anima del desiderio di accettare i tuoi, anche quelli più imbarazzanti. Ti avevo confessato i miei segreti, e volevo conoscere i tuoi. La nostra connessione emotiva aveva creato un’attrazione sessuale che era il riflesso della nostra complicità.

-Non parlare di sesso in maniera così esplicita, lascialo da parte per un altro libro - mi dicesti, dopo aver letto quello che avevo scritto. Lo cancellai, ma c’era una frase che volevo lasciare, per esprimere quanto mi era piaciuto fare sesso orale insieme.

-Cancellala. Questo non è il racconto adatto per queste digressioni – mi hai detto.

-Qui è dove parlo del mio incidente e del modo in cui sono venuto a patti con la realtà.

-Cambia qualche dettaglio, non dire tutta la verità.

-Ma in questo modo i lettori non sapranno mai cosa è vero e cosa non lo è. E’ come se li stessi prendendo in giro, qualcuno di loro potrebbe anche rimanerci male – ho provato a spiegarti.

-E allora? Si tratta di storie.

-Quindi, come dovrei cominciare? – ti ho chiesto.

-Scrivi questa frase, in uno dei dialoghi: “Solo una donna sa come ci si sente quando il suo corpo è penetrato dal membro di uno stupratore”.

-Ma è troppo brutale! E poi non è vero, sarei un bugiardo se lo dicessi.

-Che importa se lo sei. Non sarai tu a dirlo, puoi farlo dire da uno dei personaggi.

Amo la tua complicità, Celine, e anche se ci sono stati dei momenti in cui ho pensato che non esistessi, sento che ci sei e che riesci a decifrarmi. Sei qui con me, mentre sento e scrivo.

-Si, ci sono. Tu credi che sono frutto della tua fantasia, ma sono qui. Non ho provato le tue sensazioni sulla mia pelle, ma ero lì con te. Non te ne sei accorto? – mi hai risposto.

-Si, credo di si. Hai vissuto la mia storia a modo tuo, e mi fa piacere che tu lo abbia fatto. Ma come reagirebbe un lettore che fosse un uomo?

In quel caso non ti preoccupare, mi hai detto: se sono arrivati fino a questo punto, proveranno empatia. Avranno pietà sia di me, che di te.

 

 

 

lunedì 22 maggio 2023

Celine (Es)

 

 






Muchos años después de la picada, el veneno que me dejó la serpiente aparecía de modos impredecibles. Aquella mañana, Deborah y yo estábamos en la puerta de atrás de la oficina, durante nuestro recreo para el almuerzo. Estábamos sentados mirando hacia el estacionamiento, cercanos a la salida de la autopista mientras ella se fumaba un cigarrillo. Esa salida la usé la primera vez que llegué a Yorkshire, muchos años antes, sin sospechar que iba a estar trabajando allí, en Leeds, una ciudad que se convirtió en mi hogar por muchos años.

 

Aquella mañana, Deborah soltó este comentario:

 

- Solo una mujer sabe lo que se siente cuando su cuerpo es penetrado por el miembro de un violador. -


La escuchaba en silencio, respetuosamente, absorbiendo su dolor. Cada quien tiene sus fantasmas, pensé. Solo le quería mostrar mi comprensión, mi solidaridad. Mi amor. Quise decirle “no es tu culpa”, pero sentí que era un comentario estúpido, fácil de malinterpretar. Quería decir “encontraste un monstruo en tu camino y te usó, fue un accidente, como una piedra que cae en tu cabeza desde un edificio, simplemente encontraste un monstruo”. Pero todo lo que se me ocurría me sonaba torpe, inapropiado. Así que me quedé en silencio, respetuoso y sintiendo que tal vez el silencio también era torpe e insensible.

 

Decirle cuántas personas pasan por lo mismo, o incluso peor que ella, sería inútil. No es lo que ella necesita oír, pensé. Siempre hay alguien que sufre más, y siempre hay alguien que rebaja tu sufrimiento comparándolo con el de los menos afortunados. Yo no iba a convertirme en uno de ellos, por supuesto.

 

“Ahora estás aquí, estás a salvo”. Es lo único que tendría que decir, y tomé su mano. Sacudió mi mano, y seguí escuchando. Asumiendo su dolor. Sentí que tomar su mano fue muy torpe. Su dolor se debió a que alguien dispuso de su cuerpo y tomé su mano. Torpe. Insensible. Que idiota soy.

 

-No puedes entender porque no sabes lo que es ser acosado toda tu vida, desde tu niñez, cuando ni siquiera entendías que te acosaban.

 

Probablemente estaba pensando en una ocasión que me mencionó antes en la cual un pedófilo le sonreía mientras ella estaba en el autobús escolar y él estaba en su automóvil. Ella notó, unos segundos después, que estaba masturbándose mientras conducía. Ella no entendió del todo, pero entendió que había algo que estaba mal, repugnante, censurable.

 

-No puedes sentir lo que sentimos. - dijo Deborah, con un toque de orgullo. - tienes que pasar por lo mismo (para entender), eres un hombre. Los hombres son los perpetradores.

 

Guardé silencio, respetuoso. Sabía que era inútil decir que los pedófilos arremeten contra los niños, tanto niños como niñas. Sería confrontacional decirle que los varones también enfrentan pedófilos y juegos sexuales perturbadores destinados a crear algo de humillación. ¿Para qué? Necesitaba apoyo y pensé que solo mi silencio aliviaría sus recuerdos.

 

Así que guardé silencio. Y la escuché. Y también escuché el eco en mi mente de su voz diciendo “los hombres son los perpetradores”. Ese eco me dificultaba empatizar, ser parte del grupo de las víctimas, ser igual. Yo era el enemigo en alguna parte de su mente. Sentí la distancia.

 

Y tuve mucho cuidado de no tomar su mano, porque los hombres son los perpetradores. De alguna manera debo haber tenido una expresión diciendo “te entiendo”. Y ella reaccionó de una manera que sentí ligeramente beligerante.

 

-Aun cuando las mujeres no son víctimas, entienden. Son sensibles, emocionalmente disponibles. Femeninas. Los hombres son duros o se les enseña a ser duros. Son diferentes. Nunca entenderás lo que se siente ser abusado sexualmente….- siguió hablando pero dejé de escuchar, solo escuché su voz acusatoria, mi mente distraída. Miraba los coches que llegaban de la autopista, oía su rugido, pero no prestaba atención al tráfico.

 

Mi mente volvió al día en que me cogieron a mí. Mi cuerpo estaba adolorido por todas partes pero no sentía tanto el dolor del inicio de la penetración, tal vez por la adrenalina, el miedo, la ira. O tal vez no estaba lo suficientemente adormecido por el dolor en el resto de mi cuerpo para evitar sentir el miembro del tipo que intentaba penetrarme. Al principio no podía y el resto de los presos se reían. Y finalmente, sucedió. Algo me entró por el culo y sentí la humillación de ser consciente de que estaba pasando. Verga, me están cogiendo. Mi pecho estaba ardiendo. No pude evitarlo. Quería llorar, pero no quería que me vieran llorar, pero no podía parar las lágrimas, llora Mamita, llora Mamita, decían los demás, riéndose, sumando humillación al dolor. Así que decidí concentrarme en una sola idea: no fue mi culpa, no fue mi decisión. Fue porque este animal era un monstruo, una bestia. Su decisión. Solo me concentré en lo que Julio Escalona, ​​un exguerrillero, me dijo que hiciera si alguna vez me torturaban: preservar tu alma. Preserva tu alma, porque mi cuerpo no me pertenecía, no por ahora.

 

Deborah siguió hablando, mis recuerdos no venían en el orden en que los recuerdo ahora. Destellos aquí y allá. Ardor en el pecho. Pensamientos intrusivos. Y por supuesto, el consejo para la supervivencia, las palabras de Julio, preparándome para la tortura, si alguna vez ocurriera. Si estas vinculado al partido, puede suceder.

 

El torturador, dijo Julio, es una persona llena de odio y sabe que tu amas. Él no tiene ideales, y sabe que tú los tienes. Sufre porque se siente inferior, ignorante, mezquino y odia tu generosidad, tu sabiduría, tu confianza. Él quiere que seas como él. Él es un monstruo, tú no. Básicamente, no quiere nada más que sentir que está por encima de ti, y por encima de eso, quiere que seas como él. Él sabe cómo es el mundo, tú no, por eso cree que te está enseñando una lección. Quiere que te conviertas en un monstruo como él. Entonces, el único pensamiento que preservará tu cordura es tu conocimiento de que el momento pasará, él será él y tú serás tú. El momento habrá terminado. No vas a ser como él. Él es un monstruo, tú no te convertirás en uno. Preservar su cordura es su objetivo. Y para preservar tu cordura necesitas entender que fue un accidente. Nunca lo olvides, un accidente.

 

Los destellos iban y venían, la idea de Julio no, pero forma parte de mi armamento contra los destellos y los complejos. Esa idea es poderosa, el momento habrá terminado, pero eso no cambia la realidad. Su miembro entra, el momento no acaba, su miembro entra y sale y al dolor físico se le suma la humillación, el pecho ardiendo de ira, la vista de los presos riendo, dale duro dicen, llora Mamita, llora Mamita. Dolor, humillación y asco, difícil decir qué es peor.

 

Todos estos recuerdos vinieron a mi mente juntos, mezclados, con algunas fantasías de levantarme, matar a los muchachos, golpearles la cabeza contra las paredes, contra el piso, contra los bordes de las escaleras. Cuántas veces pensé en las formas en que los mataría, los haría sufrir. Y de repente el flashback fue interrumpido.

 

-Es por eso que no puedes entender. - Deborah concluyó el discurso. Quién sabe lo que estaba diciendo. Ella tenía una conclusión, y yo no podía sentir como ella sentía, yo era el otro, el perpetrador. Y necesitaba hacerle saber que no era el caso.

 

Un torbellino de emociones se apoderaró de mí. Una parte de mí quería construir un puente, convertirme en nosotros con ella. Simplemente sentí la necesidad de acercarme al humano que sufre frente a mí. Otra parte de mí rechazó usar mi dolor para apaciguar su ira contra mí. Ella me quiso meter en el saco de los victimarios. Así que me sentí animado a contarle lo que me pasó mientras estaba detenido. Entonces no lo hice. Y finalmente lo hice.

 

-En la cárcel me violaron. - Le di detalles grotescos, mis piernas temblaban, escuché mi voz quebrarse. Y de repente me interrumpió y me preguntó, como si no escuchara nada…

 

-¿Fuiste violado?

 

Me sentí tan extraño que ella estuviera preguntando algo tan obvio. Y la conversación terminó de repente porque nuestro almuerzo terminó y tuvimos que volver al trabajo. Apagó el cigarrillo y no me dirigió la palabra, salvo saludos, durante los siguientes dos días.

 

Dos días después Carolina, mi amiga española, me dijo que había intercambiado unas palabras con Deborah. Se quejó de que le estaba hablando de cosas muy privadas, que la hacía sentir incómoda. ¡¿Sentirse incómoda?!

 

¿Estás seguro de que ella te dijo eso?

 

Sí, claro. ¿De qué hablaste?

 

Cosas privadas, tenía razón. Tal vez no debería

 

No podía creerlo. Pero no podía ser mentira. Me temblaban las piernas cuando le hablaba, le estaba regalando el alma, y ​​para ella solo era un malestar… Tal vez no te escuchó, pensé. Cuantas veces no escucho, me quedo encerrado en mi mente, tal vez ella no escuchó…mis cosas privadas.

 

Obviamente tomé distancia de ella. Cuando trabajaba, podía verla sentada en su escritorio, concentrada, enfocándose en su computadora. Evité verla allí, intercambiando miradas, ya que eran dolorosas. Afortunadamente encontró un nuevo trabajo. También tomé distancia de cada mujer que hizo grandes declaraciones sobre la feminidad. Soy un hombre feminista, y siempre lo seré. Pero era tan obvio que necesito tomar distancia de mujeres como ella. Mujeres que odian a los hombres, no que aman a las mujeres. Débora fue para el movimiento feminista lo que los comunistas de cafetín fueron para las luchas sociales de nuestros pueblos. Ya tomé distancia de los comunistas de cafetín. Por lo tanto, me prometí nunca más contarle a ninguna mujer sobre mi experiencia si se ufanaba de ser superior en su comprensión debido a su condición de mujer. Nunca más. Nunca. Era como darle otro gusto al violador, era decirle que había tenido razón si hubiese dicho te cojo y las mujeres no te van a respetar. Y Deborah terminó el trabajo. Quería ir a su casa, pararme frente a su puerta, tocar el timbre, esperar a que abriera y gritar:

 

-Coronaste el oficio de violador. Terminaste su obra. ¡Vete a la mierda!

 

Por supuesto, no lo hice.

 

Pasó el tiempo. Meses, años. Superé lo de Deborah. Mantuve la promesa de mantenerme alejado de las feministas pomposas, lo cual no fue difícil ya que también me mantuve alejado de las grandes declaraciones de los comunistas de cafetín, de los cristianos grandilocuentes, siempre dispuestos a abusar de su compromiso con Jesús, Dios, el Señor, etc. Por supuesto que estaba en paz con las mujeres en general, incluidas las mujeres feministas, y Katerina en particular.

 

Katerina, como la llamé, Katherin, fue la siguiente mujer que conoció mi veneno. Simpática, desenvuelta, sensible, sensual  y con un compromiso expreso con la justicia. No tardaría mucho en ilusionarme con haber conseguido un alma gemela. Por supuesto, los caminos hay que recorrerlos poco a poco y sin duda convertirme en pareja con una mujer significa compartir mis pensamientos interiores, mis luchas, incluidos mis recuerdos y la forma en que los proceso. Solo necesitaba mostrarle mi alma, o eso pensaba. Por el camino, Katerina se fue mostrando muy comprensiva, empática. Ella también trabajaba en la misma oficina, y Deborah se había ido el año anterior. Por supuesto, con su modo eficiente de ser, encontró un nuevo trabajo, mejor pagado, y con más responsabilidades. Afortunadamente ella estaba lejos de mi vista. Necesitaba asegurarme de que nunca más mostraría la parte podrida de mi alma a otra Deborah. Y Katherine estaba fuera de discusión. La suavidad de su voz me convenció. La calma de sus respuestas, sus miradas, su total atención cuando hablaba, la elección de palabras, los temas de conversación. Nada en ella me recordaba a Deborah. De hecho, ya nunca recordaba a Deborah.

 

Mi amistad con Katerine se hizo cada vez más cercana. Caminábamos juntos desde la oficina hasta la estación de tren. Muchas veces nos tomábamos una cerveza después del trabajo y tuvimos conversaciones que nos acercaban más y más.

En química, se sabe, cuando las cosas se mezclan, tarde o temprano llega el punto de reacción, y todo cambia. Para nosotros llegó una tarde mientras estábamos en la estación de tren de Leeds. Ella estaba esperando su tren a Bingley  y yo, el mío a Saltaire. Por alguna razón, los trenes se retrasaron y nos quedamos charlando, y ella, nada raro entre nosotros, me tomaba el brazo y la mano mientras me hablaba. Pero el punto de reacción se acercaba y ella comenzó a mirarme los labios; y de pronto se quedó fija, mirándome. Noté como se mojaba los labios con la lengua de vez en vez, y empecé a disfrutar con cierto morbo que me tocara el vientre varias veces, todo esto de pie en la mezzanina superior de la estación. Perdía el hilo de lo que me decía cuando me agarraba la mano cuando hablábamos: lo hacía mucho más tiempo del normal. Mi deseo por ella comenzó a crecer, pero las siempre turbias fronteras entre la amistad y el deseo me frenaban.

Cálmate, me dije, te estas ilusionando con lo que no puede ser. Es una colega, una amiga, no eches todo a perder. Pero el cuerpo de algún modo desobedece y a cierto punto ella notó, o eso sentí, que yo observaba sus muslos con ganas de hundir la cabeza ahí abajo, entre esas piernas tan deliciosas. En fin, las señales del deseo se hacían cada vez más evidentes. El deseo se acumulaba resquebrajando las barreras y mandando señales distintas a lo que hablaba. Hasta que llegó mi tren y ella con cara de pícara se montó conmigo, camino a Saltaire. No cogió el tren para ir a su casa, se vino conmigo. Ella lo hizo. El tren viajó a la velocidad de la luz, el tiempo desapareció. Me hablaba y no sabía qué decía, solo quería besarla, penetrarla.

Ocurre que llega el momento que yo no sé qué me dice la hembra que tengo enfrente. El instinto se apodera de mí, el feminismo se apaga, no entiendo nada, el cerebro se apaga, ella habla, trata de impresionarme con su inteligencia y de nada sirve, solo quiero cogérmela. Pero no lo hice. Las pocas neuronas funcionantes, que son pocas, insisto, me impedían dar el primer paso, siempre me lo impiden, una madre feminista se metió unas restricciones en mi super ego. En alguna parte de mi cerebro hay unas dendritas de metal,  o lo que sea que me pase, aunque pierda la consciencia, me comporto, increíble pero me comporto bien, y espero que ella dé el primer paso.  Y así hice. Pero como ella no dio el primer paso en el tren, no me la cogí allí mismo.

 

Llegamos a Saltaire, hoy patrimonio cultural de la humanidad, un barrio pintoresco de Bradford. Nos detuvimos en un bar que otrora fue una estación de tranvía, una joya. Tomamos algo, picamos, salimos y empezamos a caminar hacia no sé dónde y el momento del beso llegó cuando por fin ella se hartó de esperar que asumiera mi rol de macho. Ella eligió el momento. Decidió pararse frente a mí. Decidió inclinarse hacia mí, mirándome a los ojos, mirando mis labios, sonriendo.

 

Sin embargo, después del beso, la revelación sobre los rincones podridos de mi alma la tengo que sacar a la superficie. No lo puedo evitar. Es como necesitar hacer una confesión. No puedo construir una relación si mi pareja no sabe, desde el principio, que soy un hombre con una gran cicatriz en el alma, la cicatriz de la violación, de la humillación. Es parte de lo que soy yo. Caminamos juntos, nos tomamos de la mano y llegamos a un banco en un parque. El día brillaba, la escena era perfecta. Inglaterra es un país lluvioso, pero allí se aprende a apreciar los días soleados, como aquel, perfecto. Perfecto para la verdad. Sentí amor tan intensamente, y sentí miedo. Miedo al rechazo.

 

De nuevo la voz se quebró, de nuevo me temblaban las piernas. Tuve que sentarme en el banco. Una vez más traje de vuelta los recuerdos que tanto traté de borrar. Algunas veces los recuerdos volvían, inesperadamente, sin invitación y me hacían sudar, me daban miedo. Y quería que Katerina conociera a este fantasma, uno de mis fantasmas, y ella escuchó. Ella prestó atención. Ella escuchó la historia completa. No corría a atender compromisos de trabajo. Tan diferente de Deborah. No me preguntó si me violaron. Ella era perfecta. Me sentí amado, aceptado. Cuando nos pusimos de pie, ella me abrazó. Un abrazo profundo, fuerte y apretado. Y ahora que conocía mi lado oscuro, estaba listo para hacer el amor. Ya había expurgado el veneno que dejó la serpiente.

 

Empezamos a pasear, caminamos de la mano, mi cuerpo se despejó de adrenalina, de miedo al rechazo. Estaba listo para confundir mi cuerpo con el de ella, para besarla por todas partes, para sentirme uno con ella. Y el momento del sexo desenfrenado era inminente cuando llegamos a mi apartamento. Estaba tan emocionado, mi corazón latía con fuerza, y se fundía con los pulmones, hígado e intestino en un torbellino de apetito, de hambre por su cuerpo. Ella mientras tanto algo me decía, como si hubiera algo que decir, en fin, no entiendo nada cuando estoy así, claro que yo no entendía, el cerebro apagado otra vez.  Agarré su mano para llevarla hacia la habitación.

 

Me contradijo. Señaló el sofá, así que no traté de llegar a la habitación. Su lenguaje corporal me indicó claramente que no quería hacer el amor. Como no era fácil descifrar sus gestos, vinieron las palabras en su rescate

 

-Ahora no. - dijo ella.

-No te preocupes, no hay necesidad de apresurarse. - respondí de inmediato, para aliviarla de la presión, como si fuera fácil para mi entender...

 

Tal vez ella tiene el período, pensé. Tal vez ella es como Isabel, nunca tendría sexo con el período. Sabía, con mi típica buena intuición y gran optimismo, que era un inconveniente menor, del que ni siquiera valía la pena hablar. Sin embargo, los días siguientes se aclaró la situación. Y por si el lenguaje corporal no fuera suficiente, llegó la temida sentencia.

 

-Te veo como un amigo.

 

Temo esa frase. Llegará el día en que te responderé,

 

-También te veo como un amigo. No quiero casarme contigo, solo quiero follar.

 

¿Cómo puedo ser amigo de una mujer que se niega a verme como un hombre? Estaba seguro de mi interpretación. El deseo sexual se había acumulando entre nosotros y nos besamos. Simplemente cambió de opinión después de enterarse de mi accidente. Así que volví a sentir la misma horrible sensación, confusión. Una vez más, el violador ganó. Una vez más, pude verlo reír. Una vez más, los compañeros de prisión se reían. Nuevamente, vi a la bestia riendo, con el diente que le faltaba, riendo y diciendo te cojo ahora y ninguna mujer te respetará de nuevo. El veneno que dejó la serpiente se reprodujo después de estar casi extinguido.

 

Lentamente tomé mi distancia de Katerina. Sé que ella no es una mala persona; sé que ella puede cuestionar sus propios sentimientos, sé que todos tenemos contradicciones ya veces nuestros sentimientos y gustos traicionan nuestras convicciones. No siempre puedes reorganizar el cableado de tu cerebro. Puedes convertirte vegetariano pero te encantan el olor del tocino. Sucede. Puedes ser filosófica y políticamente antirracista, pero no te atrae la persona del color equivocado, sucede. En fin, ella no podía verme como un hombre, después de enterarse de mi accidente. Sucede. Y lo que tengo que entender es que nuestro cerebro tiene un cableado hecho de cierta manera, y no siempre puede obedecer a lo que está en el programa sofisticado de nuestras convicciones. El cableado obedece a instintos y a veces estos no se pueden reprogramar del todo. No puedes hacer nada contra ese cableado, está mal hecho, es todo. Asúmelo, me dije

 

Pero era difícil para mí ser basura. Puedo ser capaz de entenderla, intelectualmente, pero es difícil ser descartable. Tomé mi distancia, lentamente. No quería una ruptura, no quería herir sus sentimientos. La buscaba cada vez menos. Ella también parecía haber perdido interés en mí.

 

Y llegó el día que no la llamé. Estaba triste y miré mi teléfono, miré su número, para llamarla. Quería hablar con alguien. No la llamé. Estaba caminando por el sendero que bordea el canal en Saltaire. Triste. Muy triste. Pero me decidí. “No vuelvas a hablar del accidente”. Nunca. Nunca más. Julio Escalona se equivocó. O al menos no te dijo toda la verdad, que es que estás solo, solo, muy solo luchando contra el torturador. Estarás solo para siempre, ni siquiera Dios estará de tu lado. Nada. La vida es brutal. Tuviste tu tajada de brutalidad. Nada que puedas hacer.

 

Mantener el secreto. La única forma de vivir con dignidad era mantener todo en secreto. ¿Por qué tengo que decir quién y cómo me penetraron el culo? Eso es trivial. Solo es importante porque lo hago importante al sentirme humillado, al permitir que estos sentimientos crezcan dentro de mí. No hay verdad porque esa verdad no es importante. La única verdad importante es mi vida, mis luchas, mis victorias, no ese accidente. ¡Es un accidente!
Y el cableado que tengan los demás, eso también es un accidente. Es un defecto de nuestra especie. Un error. Así que lo único razonable es el secreto. Y ya. Eso me dije

 

Pero también me dije que si alguna vez conozco a una mujer inmune al veneno, y se enamora de mí, la dejaré sentir todo el poder de mi amor, que es mucho. Ella sentirá también mi disposición a aceptar todo de ella. Puede que encuentre la manera de hacerle sentir que todo mi ser está involucrado en aceptarla, todo lo que venga de ella, todas sus debilidades, todas sus vergüenzas, todo. Yo tuve que reprogramar el cableado mío para aceptarme a mi mismo, y por eso podré amar a mi amante como nadie. Soy mas fuerte. He resistido. Estoy reprogramado. Tengo antídotos para venenos muy potentes. Lo sé.

 

Y de nuevo pasaron los años. Sobreviví a la muerte del monstruo Zamani, las luchas de los Bajunis, el suicidio de mamosta, el Brexit me volvió loco, Mohammed tendría acceso a todos sus cupones, me culparon de la muerte del bebé de Hirut y del estrés de Jonathan, finalmente maté a Charlotte. Tuve suficientes traumas nuevos como para olvidarme de Venezuela... y luego, cuando vi el cadáver de Sofía, decidí escribir sobre ella. Sería tan fácil sentarse en el jardín y escribir sobre ella. Reservé un vuelo a Sicilia. Y me fui.

 

Mi ciudad de elección fue Palermo. Fenicia, griega, romana, árabe, bizantina, normanda, española y finalmente italiana. Restos de lo mejor y lo peor del mundo occidental están aquí, presentes en sus construcciones, cultura y, muy importante para mí, en su gastronomía. Cercanía a montañas para escalar y mares para nadar. Cuando aterrizaba el vuelo de ida que reservé a Sicilia, sentí una gran emoción al ver el monte Pellegrino, el mar a un lado, la ciudad al otro. Como Caracas. Aquí voy a escribir los cuadernos de Sofía.

 

Será más fácil escribir la novela de Sofía ahora en Palermo, tal vez con una amante a mi lado, una amante italiana con la que he estado fantaseando. Apasionada y sensible, diferente a las mujeres que conocí en Inglaterra.

 

El sol del mar Mediterráneo refrescó mis pensamientos. Y conocí a una poeta, Helene.

 

Helene era ciertamente diferente. En primer lugar, hablaba francés y su inglés tenía acento francés, lo cual me encantó. Entonces ella era tan diferente a la gente que conocí en el Reino Unido, sobre todo, importante para mí, no necesitaba emborracharse. Tal vez podremos convertirnos en buenos amigos, pensé poco después de conocerla. Escuchó sobre muchas de mis luchas en la vida, atenta. Por supuesto, mantuve la decisión de nunca revelarle mi forma de lidiar con los recuerdos del accidente. Podría hablar de todo, no del accidente.

 

Su compañía sanadora curó mis heridas, me trajo alegría, y no era para menos.  A Helene le gustaba pasear conmigo por la marina del puerto de Palermo y por el adyacente Foro itálico, un maravilloso bulevar junto al mar. Caminábamos por allí disfrutando la vista de las montañas que me retrotraían a los Andes, del mar, que siempre me rememora mi infancia en el caribe, de la ciudad vieja cercana y los edificios lejanos de Bagheria, la ciudad que fue escenario de muchas tomas de la película Cinema Paradiso, que siempre aparecía en nuestras conversas. Caminábamos y oíamos la algarabía de la ciudad a lo lejos, condimentada con el sonido de las olas rompiendo contra las escolleras. En las arboledas y jardines de la rambla siempre se veían niños jugando, adolescentes charlando, ancianos caminando, amantes besándose y personas de mediana edad haciendo ejercicios al azar aquí y allá. Algunas personas haciendo yoga. Estábamos en esta frontera de la ciudad con el mar cuando ella empezó a mencionar la parte de sí misma oculta a los demás, el lado oscuro de sus recuerdos. Entonces supe que ella también tuvo un accidente, como el mío. Terminó en un hospital, en Canadá. Y ella siguió adelante. Lo superó. Ella dijo que lo superó.

 

El día que me contó de su accidente volvimos al hostal con un silencio con el cual pensé que le hice sentir que su dolor se había incrustado en mi pecho, en mi conciencia. Pero el momento pasó, el día pasó. Y volvimos a ir, por supuesto. En cada ocasión, viendo los mismos amantes o quizás otros, los mismos yoguis, u otros, las mismas caras, o parecidas y, por supuesto, en cada oportunidad estuvimos hablando de nuestros sueños, de su libro, de sus poemas. De sus expectativas en la vida. En fin, conocer los demonios que tenía empotrados en el alma hizo que nos acercáramos más y más.

 

Recorrimos todas las calles de la antigua Palermo, y escuché sobre ella, lo que ella quisiera decirme. Por supuesto también conseguimos el tiempo para que yo pudiera asimilar sus poemas, que ella me leía para que entendiera bien, pues mi francés no es tan bueno. También pude leer y escuchar sus poemas del libro rojo. Y la parte roja de su libro rojo. Y por supuesto hablé de mí, no del accidente, por supuesto, pero sí compartí mis pensamientos, el monstruo Zamani, los cupones de la Cruz Roja, Hirut y, sobre todo, los cuadernos de Sofía. Nuestra amistad se mantuvo fuerte. Y del accidente, nada. Nada de nada. De eso jamás.

 

De vez en cuando Helene salía de la ciudad para visitar otros parajes de Sicilia, y siempre volvía con un cuento especial. No porque pasara algo especial, sino porque todo lo que ella vivía lo contaba de modo que parecía especial. O yo lo sentía especial. En fin, yo la esperaba con impaciencia cada vez que iba a otra ciudad, a otro pueblo, a otra montaña, a otra playa. Casi la esperaba con frenesí. Hasta que llegó el día que, de regreso de Messina, me pidió que compartiera la habitación conmigo en el hostal, ya que yo era la única persona con una habitación privada en ese albergue y estaba completamente reservado. Estuve de acuerdo sin dudarlo y a sabiendas que la propuesta no tenía implicaciones eróticas. De hecho, cosa rara en mí, conocer sus pensamientos íntimos no me hizo desearla. Tal vez me estoy haciendo viejo, quién sabe.

 

-Crees que pueda quedarme en esta cama supletoria que tienes en tu habitación.- Dijo mirando el diminuto sofá.

 

- Sí, por supuesto, creo que al propietario no le importará que te quedes allí, incluso cuando el albergue tenga una habitación. Y gratis. A lo mejor ni te cobra…

- Tendremos muchas conversaciones también antes de dormirnos.

- Y por supuesto, me encantaría tener un compañero de charla en esta sala, en cada ocasión que vuelvas de tus aventuras sicilianas. Y te puedes ahorrar algo de dinero.

-No lo hago por el dinero, pero ahorrar algo no me vendría mal.

 

El día que descubrí que también en Sicilia las serpientes pican, Helene había ido a Taormina. Esta es una antigua colonia ateniense donde los helenos antiguos construyeron el teatro más espectacular del mundo. Al fondo del escenario se ve el volcán en permanente erupción, por una parte, y el mar por la otra. Disfrutó de la vista del volcán, tomó las fotos de rigor, se armó de poesías y comentarios para el libro rojo y de regreso trajo todas sus pertenencias a lo que debería convertirse en nuestra habitación. Comimos juntos unas papas fritas y maníes, y ella empezó a organizar sus pertenencias en el armario, sin saber lo que me aguardaba. Yo esperaba impaciente su cuento y en cuanto terminó nos sentamos juntos en su sofá-cama. Me entró un deseo intenso de intimidad. No de sexo, solo de intimidad. Estaba claro que ella era la única con la que podía compartir el infierno que pasé, pensé. Ella pasó por lo mismo. Ella tuvo un accidente. Entonces los recuerdos de mi pasado se apoderaron de mi mente. Entonces comencé a hablar. Ella estaba sentada en la cama y empecé a hablar sin saber lo que vendría.

 

-Fui torturado. Conozco el dolor de ser violado.

 

Una vez más, tuve este sentimiento que tengo cuando comparto este momento. Nuevamente, mis piernas temblaban, todo mi cuerpo temblaba. Y en esta ocasión, me quedé en silencio por unos segundos. Esperé a que mis palabras se asimilaran. Quería evitar lo que pasó o pudo haber pasado con Deborah, quería asegurarme de que las palabras se asentaran, quería evitar que ella no oyera. Ella se quedó en silencio. Entonces dije:

 

-Conozco el daño principalmente psicológico, es la humillación, los recuerdos. El deseo de retroceder en el tiempo y matar a los monstruos. La percepción que tienes de ti mismo. El estereotipo. El etiquetado. El veneno que vuelve a reproducirse en tu cuerpo cuando menos te lo esperas….

 

Silencio.

Largo silencio…

Entonces ella habló.

 

-Lo siento querido. No puedo oírlo. Es autoconservación. Necesito ir a otra habitación. No es sobre ti.

 

Y se fue a otra habitación del albergue. Ella evitó hablar conmigo. Siguió organizando viajes por Sicilia y ni siquiera me dijo cuándo iba a volver, y si iba a volver. A veces se despedía, maleta en mano. No volvía con cuentos, no para mi. Siguió disfrutando de sus vacaciones, yo sufría, yo trataba de entender, y cada vez que la veía alrededor me dolía mucho el pecho.

 

No le hablé más del tema. Y, de nuevo, sentí que mi virilidad fue cuestionada, aunque esta vez de un modo que no entendía para nada.  Me sentí nuevamente traicionado. Volví a sentirme estúpido por hablar con las mujeres al respecto. Y me dije: otra serpiente, y muy venenosa. Nunca más, nunca más, nunca más.

 

A partir de ese momento me cerré a la esperanza de encontrar una mujer para mí. Nunca más regalaría mi alma. Entonces te conocí, Celine. Me hiciste estar en paz con las mujeres, con el feminismo, con la vida. Me diste la fuerza y ​​la inspiración suficiente para el esfuerzo que necesito para escribir la historia que voy a escribir después de terminar la historia de Sofía. Si alguna vez salgo del infierno, escribiré sobre ti, Celine. Tu historia está pendiente.

 

Me ayudaste a sanar mi dolor. Me tomaste de la mano cuando te hablé del accidente y me hiciste sentir que sufrías conmigo. Pero el momento pasó, y en la cama me trataste como a un hombre que te desea. Me diste la oportunidad de amarte, de hacer el amor, de ser un hombre contigo. Me dejaste alimentar tu apetito, pude excitarte, me dejaste besar cada parte de tu cuerpo, me dejaste saborear el sabor de todos tus jugos. Disfrutaste verme probar los jugos que extraje de tu cuerpo, diciéndote que todo lo recibo de ti. Disfrutabas de que te penetrara con la fuerza de una bestia y también disfrutabas de las dulces palabras que susurraba en tus oídos cuando nuestros cuerpos aún estaban húmedos y sudorosos. Me abrazaste cuando teníamos frío, me abrazaste cuando tenía frío, tomando cada parte de mí. Querías que explorara lo que creías que estaba prohibido para mí. Disfrutaste que yo disfrutara de tu cuerpo, y yo disfruté que tú disfrutaras del mío.

 

Sin embargo, lo mejor fueron las conversaciones compartiendo la almohada. Hablar contigo fue muy liberador. Necesitaba revelar los demonios, primero, pero una vez enjaulados, quería que conocieras mi alma de niño, todavía escondida, y que no se ve detrás del intelectual autosuficiente y culto. Quería que recibieras todo de mí, para poder recibirte también. Con todo. Te tragaste mi veneno, lo escupiste y me diste la oportunidad de empezar de nuevo. Te amo.

 

-Deberías escribir sobre eso, eres muy bueno contando historias. -dijiste

-Pero no puedo hablar de mí con honestidad, hay demasiada mierda.

-Quizás lo mejor sería hablar de mierdas parecidas, no exactamente tuyas.

 

Ese fue el momento en que pensé que eras la mujer adecuada para estar al lado de un aspirante a genio. Pensé: “Tú eres el genio; yo soy el carpintero”.

 

-No importa quién sea el genio, lo importante es crear una obra maestra sobre la intimidad de los amantes. -dijiste, adivinando mi pensamiento.

 

Sabía exactamente lo que querías decir. Tu aceptación de mis monstruos internos llenó mi alma con el deseo de abrazar los tuyos, especialmente si te sentías avergonzada por ellos. Aprendiste sobre mis accidentes, yo quería aprender sobre los tuyos y aceptar la forma en que los enfrentaste. Nuestro vínculo emocional recíproco construyó un deseo de una sexualidad que expresaba nuestra complicidad.

 

-No hables aquí de sexo tan explícitamente, déjalo para otro libro. - dijiste cuando leíste esta parte. Así que lo borré. Pero quiero dejar una línea, al menos sobre lo increíble que fue el sexo oral.

-Borra eso. Este no es el libro para escribir esto. - dijiste.

-Entonces aquí hablo del accidente, y de la forma en que lo afronté.

-No exactamente de cómo fue, estás loco, solo cambia los detalles. Invéntate algo.

-Los lectores no sabrán qué es verdad y qué inventé. Es como si estuviera jugando con ellos. Algunas personas estarán muy molestas.

-¿Y qué? Es literatura

-Entonces, ¿cómo empiezo?

-Solo escribe esta oración, en un diálogo: “Solo una mujer sabe lo que se siente cuando su cuerpo es penetrado por la verga de un violador”.

-¡Eso es demasiado duro! Y sería un impostor si escribiera esto.

-No importa si lo eres. Bueno, podrías citar a un personaje, en un diálogo. Podrías decir que fue Deborah. Ah, y agrega un párrafo antes de esa frase.

-Me encanta tu complicidad. Hubo momentos en los que pensé que no existías, pero siento que estás, me estás leyendo. Estás allí, pensando conmigo. Sintiendo conmigo.

-Sí existo, tu crees que estoy aquí, en tu imaginación, pero estoy aquí.  Las escenas de amor no las viví con la piel, pero estuve contigo. Casi me metí en el cuento que leí. ¿No me sentiste?

-Sí, claro. La historia la viviste a tu manera, y yo disfruté sabiendo que lo hiciste. ¿Y si el lector fuera un hombre?

-En ese caso, no te preocupes: si llegó a este punto, tendrá empatía. Me entenderá y te entenderá.