Non avrei mai immaginato che il veleno del serpente,
dopo molti anni, si sarebbe manifestato in modi cosi imprevedibili.
Quel giorno eravamo
fuori dall’ufficio, durante la pausa pranzo. Eravamo seduti vicino
all’uscita posteriore, davanti al parcheggio, a ridosso dell’autostrada.
Deborah stava fumando una sigaretta. Quella era proprio l’autostrada che avevo
percorso la prima volta che arrivai in Yorkshire molti anni prima, senza sapere
che sarei finito a lavorare a Leeds, una città che sarebbe poi divenuta la mia
residenza per molti anni.
Quella mattina, Deborah mi sussurrò queste parole:
-Solo una donna sa come ci si sente quando il suo
corpo viene penetrato dal membro di uno stupratore.
Rimasi in silenzio, per rispetto, permettendo al suo
dolore di penetrare dentro di me. Abbiamo tutti degli scheletri nell’armadio,
pensai. Volevo mostrarle la mia comprensione, la mia solidarietà, il mio
affetto. Volevo dirle qualcosa come: “Non
è stata colpa tua”, ma mi parve un commento sciocco ed inopportuno. Avrei
voluto dirle: “ Hai incontrato un mostro
sul tuo percorso che ti ha usato, è stato un incidente, come un mattone che ti
cade in testa da un palazzo in costruzione, tutto qua”. Ma tutte queste
parole non dette mi sembravano goffe e inappropriate, perciò rimasi in
silenzio, rispettosamente, ma anche quel silenzio mi parve goffo ed
inappropriato.
Dirle che tante persone vivono esperienze simili, o
anche peggiori, sarebbe stato inutile. Non è ciò che ha bisogno di sentire,
pensai. C’è sempre qualcuno che sta peggio di te, e c’è sempre qualcuno pronto
a paragonare il tuo dolore con quello di qualcun’ altro. Non sarei stato uno di
quelli.
-Adesso sei qui, al sicuro - fu l’unica cosa che
riuscii a dire, mentre le prendevo la mano. Lei allontanò la mia mano dalla
sua, ma io continuai ad ascoltarla e a lasciare che il suo dolore penetrasse
dentro di me. Mi parve che prenderle la mano fosse stato un gesto estremamente
fuori luogo: la sua sofferenza era dovuta al fatto che qualcuno avesse abusato
del suo corpo ed io le avevo preso la mano. Che gesto insensato ed insensibile.
Che idiota che sono.
-Non puoi capire cosa si prova, perché non sai cosa
significa essere molestati per tutta la vita, fin dall’infanzia, quando non
conosci neanche il significato della parola molestia- Probabilmente, stava
ripensando a ciò che mi aveva raccontato poco prima, un evento che le era
accaduto da bambina, quando un pedofilo le aveva sorriso dal finestrino della
sua macchina mentre lei era seduta sul pullmino della scuola. Pochi secondi
dopo, lo aveva sorpreso a masturbarsi alla guida. A quell’età non poteva sapere
cosa quell’uomo stesse facendo, ma aveva avuto la sensazione che si trattasse
di qualcosa di sporco e sbagliato.
-Tu non puoi sentire quello che sentiamo noi - disse,
quasi con orgoglio -Devi passare per la stessa situazione per capire, ma sei un
uomo, e tutti gli stupratori sono uomini.
Rimasi in silenzio, rispettosamente. Sapevo che
sarebbe stato inutile dirle che i pedofili perseguitano sia i bambini che le
bambine, e sarebbe stato polemico ricordarle che anche i bambini possono essere
vittime di pratiche sessuali fortemente umilianti. Ma a che scopo? Deborah
aveva bisogno di sostegno ed io pensai che solo il mio silenzio potesse
alleviare il peso dei suoi ricordi. Quindi rimasi ancora in silenzio ad
ascoltarla, e potevo udire l’eco delle sue parole rimbombando nella mia mente: tutti gli stupratori sono uomini. Quelle
parole rendevano difficile il poter provare completa empatia per le vittime,
poterne far parte, essere come loro. In un angolo della sua mente giaceva
l’idea che io fossi il nemico, e ciò creava distanza fra noi. Feci attenzione a
non prenderle nuovamente la mano, dato che ai suoi occhi non ero nient’altro
che un potenziale stupratore, ma il mio
volto doveva celare uno sguardo di comprensione, perchè Deborah ebbe una
reazione piuttosto infastidita, e disse:
-Anche quando una donna non ha mai subito uno stupro o
una molestia, riesce a capire cosa significa. Noi donne siamo sensibili ed emotivamente ricettive,
femminili, appunto. Voi uomini siete rigidi e chiusi, o perlomeno è ciò che vi
viene insegnato. Siamo diversi, perciò tu non potrai mai comprendere come ci si
sente ad essere abusati sessualmente …
A quel punto, io smisi di ascoltare. L’unica cosa che
riuscivo ad udire era il suo tono di voce accusatorio, ma la mia mente si era
completamente distaccata. Osservavo le macchine che uscivano dall’autostrada e
percepivo il rumore dei loro motori, ma non facevo neanche caso al
traffico. I miei pensieri tornarono
indietro, al giorno in cui fui stuprato.
Quel giorno mi picchiarono dappertutto, ma io non
sentivo neanche il dolore dei colpi, forse a causa dell’adrenalina, della paura
e della rabbia, ma la mia mente non era abbastanza offuscata da non registrare
il contatto del mio corpo col membro del tipo che cercava di penetrarmi.
All’inizio fece fatica e gli altri prigionieri si misero a ridere, ma ad un
tratto successe. Sentii qualcosa entrare dentro il mio ano e provai una
sensazione di profonda umiliazione. “Verga,
me estan cogiendo”, pensai. Cazzo, mi stanno inculando. Sentii un fuoco nel
petto, e cominciai a piangere. Non volevo che gli altri prigionieri mi
vedessero piangere, ma non riuscii a resistere. “Llora, mamita”, piangi frocio, gridavano mentre ridevano di me.
Allora io decisi di concentrarmi solo su un’idea: ciò che stava accadendo non
era né colpa mia né una mia decisione, ma responsabilità e scelta di quella
bestia mostruosa alle mie spalle. Pensai intensamente a ciò che Julio Escalona,
un ex guerrillero, mi aveva detto di fare se mai mi fossi trovato sotto
tortura: proteggi la tua anima. Dovevo proteggere la mia anima, perché il mio
corpo, momentaneamente, non mi apparteneva più.
Deborah continuava a parlare mentre i ricordi di quel
giorno riaffioravano confusamente, come dei flashback sparsi qua e là. Il petto
in fiamme, i pensieri in un vortice e una sola ancora di salvezza: le parole di
Julio che mi preparavano alla possibilità di essere torturato, dato che avevo
deciso di entrare nel partito. Il torturatore, mi aveva spiegato Julio, è una persona
piena di odio che è consapevole della tua natura amorevole. Non ha ideali, ma
sa che tu ne hai; soffre, perché si sente inferiore, ignorante, meschino, e
odia la tua generosità, la tua saggezza, la tua consapevolezza. Vuole farti
diventare come lui, una bestia. Vuole sentirsi superiore a te, ma soprattutto
desidera che tu diventi come lui. Vuole darti una lezione perché ritiene di
sapere come funziona il mondo, mentre tu non lo sai. Perciò l’unica cosa che
può salvarti dalla pazzia in una situazione come quella è la consapevolezza che
passerà e che lui rimarrà ciò che è, e tu ciò che sei. Passerà e tu rimarrai
ciò che sei, non diventerai un mostro. Ma l’unica maniera per non perdere te
stesso sarà capire che è stato solo un incidente, nient’altro.
I flashback andavano e venivano, mentre le parole di
Julio erano ancora chiare e presenti e facevano parte del mio armamentario
difensivo nella mia lotta contro i cattivi ricordi. La mente è potente, quegli
attimi passeranno, ma ciò non cambia la realtà. La sensazione del suo membro
che penetra dentro di me molteplici volte è reale, così come il dolore che ne
consegue e l’umiliazione a cui si aggiunge la rabbia che mi brucia in petto e
la vista degli altri prigionieri che urlano:
“Dale duro, llora mamita”. Rompigli il culo a quel frocio, fallo piangere.
Dolore, umiliazione e disgusto, non saprei dire quale sia peggio. Tutti questi
ricordi riaffiorarono improvvisamente insieme a fantasie di vendetta, in cui io
mi facevo valere e ammazzavo tutti i presenti fracassandogli la testa contro il
muro, il pavimento, le scale. Quante volte avevo immaginato di far soffrire a
quei mostri le pene dell’inferno, e in quel modo trovare un riscatto al mio
dolore. All’improvviso i miei pensieri vennero interrotti.
-E per questo motivo, tu non puoi capire - concluse
Deborah.
Chissà quali altre idee aveva espresso fino ad allora,
ma le sue conclusioni erano chiare: io non potevo sentire quello che sentiva
lei, io ero l’altro, l’aguzzino. A quel punto, sentii il bisogno di farle sapere
che si sbagliava. Fui travolto da emozioni contrastanti. Da un lato, desideravo
creare un ponte tra noi, per potermi avvicinare a quell’essere umano che stava
soffrendo; dall’altro lato, rifiutavo l’idea di usare il mio dolore per
stemperare la sua rabbia nei miei confronti, in quanto rappresentante, in
quella circostanza, del genere maschile, degli stupratori. Infine, mi sentii
incoraggiato a rivelare ciò che mi era successo mentre ero in prigione. Ebbi un
dubbio e aspettai. Poi mi decisi a parlare. Le mie gambe tremavano, mentre, con
la voce rotta, le rivelavo i dettagli più crudi di quell’esperienza.
All’improvviso, come se non avesse ascoltato nulla di ciò che le stavo dicendo,
mi chiese:
-Sei stato stuprato?
La sua domanda mi fece sentire molto a disagio, dato
che non vi era nessun dubbio su ciò che era accaduto. Il tempo per la pausa
pranzo stava per finire, così Deborah terminò di fumare la sua sigaretta in
silenzio e tornammo a lavoro. Una volta rientrati in ufficio, mi salutò e nei
due giorni successivi evitò di parlarmi.
Il terzo giorno Carolina, la mia collega spagnola, mi
disse che aveva parlato con Deborah, la quale si era lamentata del fatto che io
avessi tirato fuori delle questioni personali. Disse che Deborah le aveva
confessato di essersi sentita a disagio durante quel dialogo. A disagio?
-Sei sicura che ti abbia detto così? - le chiesi.
-Sicurissima. Di cosa avete parlato? - mi domandò
-Cose personali, è vero … lasciamo stare …
Non potevo crederci. Le avevo rivelato il più intimo
dei miei segreti, aveva visto come le mie gambe tremassero e udito la mia voce
rotta dall’emozione, ma la sua unica reazione era stata quella di sentirsi a
disagio … pensai che forse non aveva capito bene, che si era distratta mentre
le raccontavo quelle cose, che anche a me a volte succede di non prestare
attenzione a ciò che mi viene detto, perso nei miei pensieri …
Nei giorni a seguire, presi le distanze da lei. Potevo
vederla dall’altro lato della stanza, seduta alla sua scrivania, concentrata sul computer e sul lavoro da
svolgere, ma evitavo di incrociare il suo sguardo, perché sapevo che mi avrebbe
ferito. Per fortuna, poco tempo dopo, trovò un altro lavoro e se ne andò. Da
parte mia, imparai a mantenere le distanze da qualunque donna che facesse
grandi apologie sul genere femminile. Mi ritengo di essere un uomo che sta
dalla parte delle donne, e lo sarò sempre, ma era ovvio che dovevo stare alla
larga da donne come Deborah, per il mio bene. Donne che non amano le altre
donne, ma semplicemente odiano gli uomini. Lei era per il movimento femminista
ciò che i comunisti “radical-chic” furono per il mio popolo in lotta. Avevo
preso le distanze da questa tipologia di comunisti, e decisi che non avrei mai
più rivelato ad una donna che si fosse proclamata superiore a me nella sua
capacità di comprensione dei fatti, solo in quanto appartenente al genere
femminile, ciò che mi era accaduto. Mai più. Sarebbe stato come dare al mio
stupratore un’altra soddisfazione, quella di aver avuto ragione nel pensare che
nessuna donna mi avrebbe più rispettato a causa di quella violenza; col suo
comportamento, Deborah aveva completato l’opera del mio aguzzino. Avrei voluto
andare fuori casa sua, davanti alla porta di casa, premere il campanello e
aspettare che aprisse, per poi urlarle in faccia:
-Hai fatto un ottimo lavoro, stronza. Vaffanculo –, ma
non lo feci.
Passarono i mesi, e poi gli anni. Mi lasciai alle
spalle l’accaduto, ma tenni fede alla promessa che avevo fatto a me stesso, di
mantenere le distanze da qualunque donna che facesse grandi proclami, e non mi
era difficile farlo, dato che facevo la stessa cosa con i comunisti
radical-chic, come li chiamavo io, e i cristiani ferventi, sempre pronti ad
abusare del nome di Dio, del Signore e di Gesù Cristo. Per il resto, mi sentivo
in pace con le donne in generale, comprese le femministe, in particolare con Katerine.
Katerine fu la seconda donna a cui rivelai ciò che mi
era accaduto. La amavo, e poco dopo averla conosciuta cominciai a pensare che
potesse divenire la mia compagna. Era una donna piena di energia e desiderosa
di impegnarsi in una relazione e queste cose mi fecero sperare che fosse la
persona più adatta a me. La desideravo tantissimo. Era una donna molto
comprensiva ed empatica, ed anche lei lavorava nel mio stesso ufficio. Per
costruire una relazione con lei, dovevo necessariamente condividere i miei
pensieri più intimi, i miei problemi e le mie esperienze passate. Dovevo
mostrarle la mia anima, o almeno così credevo. Deborah se n’era andata già da
qualche anno, aveva trovato un altro lavoro con più responsabilità e pagato di
più; per fortuna non l’avevo più vista. Dovevo fare attenzione a non mostrare
mai più quella parte rovinata della mia anima ad un’altra Deborah, ma pensavo
che Katerine fosse diversa. La dolcezza della sua voce, la calma con la quale
interagiva con me, i suoi sguardi e l’attenzione con cui mi ascoltava non
avevano nulla a che fare con Deborah. Di fatto, me la fecero dimenticare.
L’amicizia con Katerine si fece sempre più profonda.
Spesso camminavamo dall’ufficio alla stazione dei treni insieme, e a volte ci
fermavamo per una birra in qualche pub. Un giorno ci trovavamo alla stazione di
Leeds ad aspettare i nostri treni per Bingley e Saltaire, ma per qualche motivo
c’erano dei ritardi. Stavamo chiacchierando e come al solito lei mi aveva preso
la mano. Lentamente mi accorsi che qualcosa stava succedendo: Katerine guardava
le mie labbra e improvvisamente smise di parlare. Cominciò ad inumidire le sue
con la lingua, un po’ alla volta, e a sfiorare il mio stomaco con la mano. Mi
sentii eccitato da ciò che stava accadendo proprio lì, alla stazione, vicino al
binario dei treni. Avevo smesso di prestare attenzione a ciò che diceva nel
momento in cui mi ero accorto che stava tenendo la mia mano più a lungo del
solito, e il mio desidero nei suoi confronti crebbe, ma mi trattenni. Calmati,
mi dissi, non farti travolgere da idee sbagliate. Katerine è una collega ed
un’amica, non rovinare tutto. Ma non potevo controllare le reazioni del mio corpo
e lei si accorse che le stavo guardando le gambe, desideroso di infilare la
testa tra quelle cosce deliziose. I segni del mio desiderio diventavano sempre
più evidenti e rompevano le barriere che le parole, pronunciate timidamente,
cercavano a stento di mantenere. Cominciò a piovere e in quel momento arrivò il
mio treno. Con uno sguardo malizioso, Katerine sali con me sul vagone, diretto
a Saltaire. Fu una sua decisione.
Il treno viaggiò alla velocità della luce e il tempo
sembrò dissolversi. Lei mi parlava ma io non la ascoltavo, perché l’unica cosa
a cui potevo pensare era il desiderio di farla mia. Succede sempre così,
all’improvviso perdo il filo del discorso perché l’istinto prevale e tutte le
mie buone intenzioni femministe svaniscono. Lei cerca di colpirmi con i suoi
discorsi e la sua intelligenza, ma io non ascolto più e smetto di ragionare.
Vorrei solo avvicinarmi a lei e cominciare a baciarla, ma non lo faccio
mai. Anche se sto perdendo coscienza di
me stesso, in qualche modo riesco a controllarmi e aspetto che sia lei a fare
il primo passo. Ma nessuno dei due fece nulla durante il viaggio in treno, e
così arrivammo a Saltaire e decidemmo di fermarci in un bar, che un tempo era
stato una stazione del tram, un posto molto conosciuto in città. Prendemmo
qualcosa da bere e da mangiare, dopodiché ce ne andammo verso una destinazione
ignota. Ci baciammo nel momento in cui lei si stancò di aspettare che io
facessi la prima mossa. Fu lei a decidere il momento propizio: si fermò davanti
a me, mi guardò negli occhi e sorrise.
Dopo esserci baciati, sentii immediatamente la
necessità di rivelarle quel segreto che mi lacerava l’anima. Dovevo confessarle
la verità, spiegarle che ero stato un uomo ferito ed umiliato. Non potevo
evitarlo, se volevo creare una relazione autentica con un altro essere umano.
Camminammo l’uno accanto all’altra tenendoci la mano, ed arrivammo ad una
panchina nel parco. C’era ancora molta luce, perché in Inghilterra le giornate
primaverili sono molto lunghe e quando c’è il sole appaiono ancora più belle,
in contrasto con i giorni di pioggia, che sono molto frequenti. Era un giorno
speciale, perfetto per rivelare la verità. Sentivo un profondo amore, ma anche
molta paura. Temevo di poter essere rifiutato. Ancora una volta, la mia voce si
ruppe e le mie gambe cominciarono a tremare. Mi avvicinai alla panchina e mi
sedetti, perché facevo fatica a stare in piedi. Di nuovo, stavo lasciando che
quei ricordi, che avevo cercato di cancellare disperatamente, riaffiorassero. A
volte quei ricordi ritornavano inaspettati e mi riempivano di dolore e
sgomento, ma volevo che Katerine conoscesse questo fantasma, uno dei tanti, e
cosi cominciai a raccontarle dell’accaduto. Lei mi ascoltò con attenzione, fino
alla fine. Non inventò nessuna scusa per sfuggire a quella confessione, né ebbe
bisogno di chiedermi se ciò di cui stavo parlando fosse una violenza sessuale.
Fu semplicemente perfetta e mi fece sentire amato ed accettato. Quando ci
alzammo dalla panchina, mi abbracciò a lungo. Adesso che le avevo rivelato il
mio segreto più oscuro, potevo farle l’amore. Il veleno lasciato dal serpente
era stato spurgato.
Riprendemmo a camminare mano nella mano, ed io mi
sentivo leggero, liberato infine dal carico di adrenalina che la paura del
rifiuto aveva creato. Ero pronto e desideroso di unire il mio corpo al suo, di
baciarla ovunque, di sentire che eravamo una cosa sola. Il mio cuore batteva
all’impazzata quando arrivammo al mio appartamento. Katerine disse qualcosa, ma
io non capii. Il mio cervello si era ormai chiuso a qualunque messaggio che non
fosse direttamente legato a ciò che stava per succedere. Le afferrai una mano e
cominciai a dirigermi verso la camera da letto. Contro le mie aspettative,
Katerine fece resistenza e girò la testa in direzione del divano. Il suo
comportamento indicava chiaramente che non aveva intenzione di fare l’amore, ma
dato che mi era difficile poterlo credere, si decise a parlare:
-Non ancora- credo che disse.
-Va bene, non ti preoccupare, non c’è fretta - risposi
immediatamente, come se fosse tutto chiaro. Pensai che forse non era il momento
giusto, magari aveva il ciclo e poteva sentirsi in difficoltà, forse era come
Isabel, che rifiutava categoricamente di avere sesso in quei giorni. Ma mi sbagliavo,
e come se il linguaggio del corpo non bastasse, anche le parole che più temevo
furono pronunciate.
-Ti vedo solo come un amico.
Odiavo quella frase. Prima o poi, avrei trovato il
coraggio per rispondere: “Anche io ti
vedo solo come un’amica. Non voglio mica sposarti, voglio solo scopare”. Come
posso essere amico di una donna che non mi considera per quello che sono? Ero
sicuro di ciò che stava accadendo: ci eravamo baciati, lei era salita sul treno
con me, e il desiderio sessuale era cresciuto sempre di più. Semplicemente
aveva cambiato idea nel momento in cui le avevo rivelato il mio segreto. Ancora
una volta, sentii quell’orribile sensazione di rifiuto. Il mio aguzzino aveva
vinto di nuovo. Potevo vederlo sghignazzare
insieme a tutti gli altri prigionieri, con quel sorriso sdentato e dire soddisfatto:
Ti ho inculato di nuovo, stronzo. Nessuna
donna ti rispetterà mai più. Il veleno che pensavo si fosse quasi estinto
dal mio corpo, riprese improvvisamente a scorrere nelle vene.
Presi le distanze da Katerine. Sapevo che non era una
persona cattiva e che forse avrebbe anche voluto mettersi in discussione per
me; ero consapevole del fatto che abbiamo tutti delle contraddizioni e a volte
le emozioni prendono il sopravvento sulle nostre convinzioni. Non possiamo
sempre controllare le nostre reazioni: una persona può essere vegetariana e
allo stesso tempo amare l’odore del bacon fritto, succede. Katerine non
riusciva a vedermi come un uomo, dopo aver saputo del mio incidente, succede.
Dovevo accettare che il nostro cervello è fatto così, non può sempre
assecondare le nostre convinzioni più sofisticate. Spesso, sono gli istinti a
prevalere e non sempre si riesce a cambiarli. E’ così che funziona, è un
sistema difettoso, ma bisogna accettarlo. Razionalmente, riuscivo a comprendere
il suo comportamento, ma era difficile accettare di essere scartati come
spazzatura. Così un po’ alla volta, presi le distanze da lei. Non volevo
ferirla né creare un dramma, semplicemente smisi di cercarla e anche lei sembrò
perdere interesse nei miei confronti. Arrivò il giorno in cui decisi di non
chiamarla più.
Quel giorno, ero particolarmente triste. Stavo camminando
lungo il bordo del canale a Saltaire e avrei voluto parlare con qualcuno. Presi
il telefono in mano e cercai il suo nome tra i miei contatti, ma non la
chiamai. Nuovamente, presi la stessa risolutiva decisione di un tempo: non
avrei mai più parlato del mio incidente con anima viva. Mai più. Julio Escalona
si sbagliava o perlomeno non mi aveva detto tutta la verità. La verità era che
sarei stato solo a combattere contro il mio aguzzino, per il resto della mia
vita. Neanche Dio sarebbe stato al mio fianco. Nessuno. Così è la vita, brutale
ed io avevo avuto la mia porzione di brutalità. L’unica maniera per vivere
dignitosamente, era di mantenere il segreto. Perché mai avrei dovuto rivelare
chi e come aveva penetrato il mio ano? E’ una cosa importante solo per me,
perché io ritengo di essere stato umiliato e lascio che questi pensieri
crescano dentro di me. La verità non è così importante, l’unica cosa che conta
è la mia vita, le mie lotte, le mie vittorie, non quell’incidente! E il modo in
cui ragionano gli altri, anche quello è un incidente, un difetto di fabbrica.
Quindi l’unica via percorribile nella mia situazione è quella di mantenere il
segreto. Se mai avessi incontrato una donna immune al mio veleno, che si fosse
innamorata di me, le avrei fatto sentire tutta la potenza del mio amore, che è
immensa, e la mia volontà ad accettare tutto di lei. Troverei un modo per farle
capire che ogni cellula del mio corpo è pronta ad accettarla per quello che è,
e ad accettare tutto ciò che da lei proviene, ogni sua debolezza, ogni sua
vergogna, tutto. Avevo dovuto riconnettere il mio cervello per riuscire ad
accettarmi, e questa era la ragione principale per cui sarei stato in grado di
amare il prossimo come nessun altro. Io sono un sopravvissuto, sono più forte
degli altri. Possiedo antidoti per veleni molto potenti e ne sono consapevole.
Passarono gli anni. Sopravvissi alla morte del mostro
Zamani, alle lotte dei Bajunis, al suicidio di Mamosta, alle stronzate della
Brexit che fecero merda del mio cervello; Mohammed ottenne i suoi voucher extra,
mi accusarono della morte del figlio di Hirut e dello stress di Jonathan,
finalmente feci fuori Charlotte. Avevo abbastanza nuovi traumi da dimenticare
le mie vicissitudini in Venezuela, finchè vidi il corpo senza vita di Sofia, e
decisi che dovevo scrivere su di lei. Sarebbe stato facile sedermi da qualche
parte e farlo e così comprai un biglietto per la Sicilia, e me ne andai.
Scelsi Palermo. Fenicia, greca, romana, araba,
bizantina, normanna, spagnola ed infine, italiana. I resti di tutto ciò che di
buono e di meno buono ci furono nel mondo occidentale si trovano qui, presenti
nella sua architettura, cultura e gastronomia. Ci sono montagne per
arrampicarsi e spiagge per andare a
nuotare. Quando l’aereo atterrò, provai una forte emozione alla vista del Monte
Pellegrino, del mare da un lato e della città dall’altro, proprio come a
Caracas. Qui avrei scritto il mio libro per Sofia, magari con l’appoggio di
un’amante italiana, passionale e sensibile, al mio fianco, ben diversa dalle
donne che avevo frequentato in Inghilterra. Il sole del mar Mediterraneo mi
avrebbe aiutato a rinfrescare la mente, e fu così che conobbi una poetessa,
Helene.
In effetti, Helene era unica. Innanzitutto parlava
francese, e il suo inglese aveva quella particolare intonazione che mi piaceva
da matti; poi era così diversa dalle persone che avevo conosciuto in Gran
Bretagna, soprattutto non beveva come loro. Forse posso diventare un suo caro
amico, pensai poco dopo averla conosciuta. Le rivelai molti dei miei problemi e
lei mi ascoltò sempre con grande attenzione, ma non le dissi mai
dell’incidente. Helene amava passeggiare con me lungo la Marina di Palermo e
vicino al Foro Italico, un bellissimo viale accanto al mare. Da lì si scorgono
le montagne e si vede il mare, la città vecchia e in lontananza i palazzi di
Bagheria, il paese dove furono girate molte scene di Cinema Paradiso. I rumori
della città si mescolano distanti al suono delle onde che si infrangono sugli
scogli. Tutt’intorno si vedono bambini che giocano, ragazzi che chiacchierano,
anziani che passeggiano e amanti che si baciano. Ci trovavamo in questo lungo
anche il giorno in cui Helene cominciò a parlarmi del suo segreto, e così seppi
che anche lei aveva subito un incidente, simile al mio. Era addirittura finita
in ospedale a causa di quella violenza, in Canada, ma disse che ormai era acqua
passata. Tornammo in ostello senza aprire bocca, ed io pensai che il mio
silenzio le aveva forse fatto pensare che avevo accolto completamente il suo
dolore dentro di me. E così passò quel giorno, e molti altri. Tornammo molte
volte sul Foro Italico e vicino alla Marina, e ogni volta riconoscevamo dei
volti che avevamo già visto. Parlavamo dei nostri sogni, del libro che lei
stava scrivendo e delle sue poesie. Parlavamo anche del futuro e a me parve che
l’aver saputo del suo incidente ci avesse fatto avvicinare.
Camminavamo tra le strade della parte vecchia di
Palermo ed io ascoltavo con piacere qualunque cosa lei avesse da dirmi. Mi
leggeva le sue poesie in francese, e con pazienza, mi dava tempo per
comprenderle ed assimilarle, dato che il mio francese non è molto buono. Volle
leggermi anche le poesie tratte dal suo
“libro rosso”, e tra quelle le più audaci. Anche io le parlavo di me, del
mostro Zamani, del mio lavoro con la Croce Rossa, di Hirut e del libro per
Sofia, ma non accennai mai al mio incidente. La nostra amicizia rimase forte, e
io continuai a mantenere il mio segreto. Ogni tanto Helene partiva alla
scoperta di luoghi sconosciuti in Sicilia, ed ogni volta che tornava, aveva
qualche storia da raccontare, non perché qualcosa di particolare fosse
accaduto, ma perché aveva un modo di narrare le cose che rendeva ogni vicenda
speciale. Io aspettavo con impazienza il suo ritorno, desideroso di conoscere,
attraverso i suoi racconti, nuove città,
nuovi paesi e montagne e mari. Un giorno, di ritorno da uno dei suoi viaggi, mi
chiese se potessi condividere la mia stanza con lei, dato che l’ostello dove
alloggiavamo era pieno. Accettai senza esitazione, sapendo che la sua richiesta
non aveva alcun fine erotico. In qualche modo, conoscerla cosi intimamente non
aveva suscitato nessun desiderio sessuale in me, stranamente. Pensai che forse
stavo cominciando ad invecchiare.
-Posso stare su quel divanetto che c’è in camera tua,
se non è un problema per te - disse.
-Certamente – risposi. Non sarebbe stato un problema
neanche per il proprietario, e magari avrebbe anche potuto risparmiare
qualcosa.
- Potremo chiacchierare a lungo prima di andare a
dormire.
-Si, certo, mi farebbe piacere avere qualcuno con cui
chiacchierare, se vuoi possiamo condividere la mia stanza ogni qualvolta
tornerai da uno dei tuoi viaggi, cosi non devi neanche pagare per un letto – le
dissi.
-Non lo faccio per i soldi, ma se risparmiassi
qualcosa non sarebbe male – mi rispose ringraziandomi.
Purtroppo, arrivò il giorno in cui scoprii che anche
in Sicilia ci sono serpenti velenosi. Helene era andata a Taormina, un’antica
colonia ateniese dove i greci
costruirono il teatro più spettacolare al mondo. Dietro lo scenario, si
intravede il vulcano fumante da un lato, e il mare dall’altro. A Helene era
piaciuta la vista del vulcano, aveva fatto molte cose e scritto dei versi per
il suo libro rosso. Al ritorno aveva spostato tutte le sue cose in quella che
sarebbe diventata la nostra stanza. Mangiammo delle patatine e un po’ di
noccioline, dopodiché cominciò a riporre i suoi vestiti nell’armadio, senza
sapere cosa stessi aspettando. Io attendevo con ansia di ascoltare il racconto
del suo viaggio, quindi appena ebbe finito di mettere via le sue cose, ci
sedemmo sul divanetto. Un improvviso desiderio di intimità mi avvolse. Non era
desiderio sessuale, ma solo voglia di intimità: era chiaro che lei era la
persona giusta, a cui potevo rivelare il mio segreto. D’altronde, anche lei era
passata per lo stesso inferno, anche lei aveva avuto il mio stesso incidente. I
ricordi dell’accaduto cominciarono ad affiorare, ed io cominciai a parlare.
-Sono stato torturato. So cosa si prova ad essere
stuprati.
Di nuovo, ebbi quella sensazione di panico che provo
ogni qualvolta parlo dell’accaduto. Le gambe cominciarono a tremare, e poi
tutto il corpo. Questa volta però, feci attenzione a prendere delle pause
durante il mio racconto, in modo che le mie parole potessero essere udite
chiaramente. Non volevo che accadesse quello che era successo con Deborah, che
al termine della mia confessione, aveva ritenuto necessario chiedermi se ero
stato violentato, come se ciò non fosse stato chiaramente espresso dalle mie parole.
-So che il danno maggiore è psicologico, soprattutto
per l’umiliazione che ne consegue e il ricordo dell’accaduto. Poi subentra il
desiderio di vendetta, di fargliela pagare a quei mostri. La percezione di te
stesso cambia, e a volte ti sembra di essere divenuto uno stereotipo, una
specie di caso umano …
Stavo ancora finendo il mio discorso ma Helene mi
interruppe.
-Scusami, tesoro. Non posso ascoltarti oltre. E’
meglio se vado da un’altra parte. Davvero, non è colpa tua, ma devo pensare a
me stessa – disse, e uscì dalla stanza.
Da quel momento in poi evitò di parlarmi, ed ogni
volta che partiva per uno dei suoi viaggi, non mi diceva più né dove andava, né
quando sarebbe tornata. Ogni volta che la vedevo, provavo un enorme dolore.
Ancora una volta, mi sentii messo in discussione in quanto uomo, anche se
stavolta non capivo come avesse potuto succedere di nuovo. Mi sentii stupido
perché avevo voluto nuovamente parlare del mio incidente con una donna. Capii
che avevo incontrato un altro serpente, molto velenoso, e nuovamente dissi a me
stesso: mai più. Da quel momento in poi, persi completamente la speranza di
poter incontrare una donna che potesse divenire la mia compagna. Non avrei mai
più commesso quell’errore, eppure non fu così, perché conobbi te, Celine. Tu mi
hai fatto far pace con le donne, col femminismo, con la vita. Tu mi hai dato la
forza e l’ispirazione per scrivere la storia che scriverò dopo aver finito il
libro per Sofia. Se mai uscirò vivo da questo inferno, Celine, scriverò di te.
Mi hai aiutato a curare il mio dolore, mi hai preso
per mano quando ti ho raccontato del mio incidente e hai accolto la mia
sofferenza; quando che il momento della confessione terminò, mi hai fatto
sentire nuovamente uomo. Hai accettato il mio desiderio e mi hai dato
l’opportunità di amarti, di farti eccitare, di baciarti dappertutto. Hai goduto
nel vedermi assaporare i tuoi succhi, e hai sorriso quando ti ho penetrato con
tutta la mia forza. Hai ascoltato con gioia le parole dolci che ho sussurrato
al tuo orecchio quando i nostri corpi si sono fermati, bagnati di sudore. Mi
hai abbracciato per proteggermi dal freddo, e hai toccato ogni parte del mio
corpo. Hai voluto che esplorassi il tuo, ed entrambi abbiamo gioito di aver
goduto dei nostri corpi. Ad ogni modo, la parte migliore è stata poter parlare
con te mentre eravamo ancora a letto. Avevo bisogno di rivelarti i miei demoni,
e una volta imprigionati, ho voluto che vedessi la mia anima di bambino,
nascosta dietro la mia apparenza di intellettuale snob, ma ancora presente
dentro di me. Volevo che conoscessi tutto di me, in modo che io potessi a mia
volta ricevere tutto di te. Hai ingoiato il mio veleno e lo hai risputato,
dandomi la possibilità di ricominciare di nuovo. Ti amo.
-Dovresti scrivere qualcosa su queste vicende, sei
così bravo a raccontare storie- mi hai detto.
-Ma come posso parlare di me con sincerità, questa
storia è troppo sporca.
-Forse la cosa migliore sarebbe inventare una vicenda
verosimile, non raccontare esattamente la tua storia – mi hai risposto.
In quel momento pensai che eri la persona giusta per
stare accanto ad un aspirante genio, ma la realtà è che tu sei il genio ed io
sono solo un operaio al tuo servizio.
-Non importa chi è il genio, la cosa importante è
creare un’opera d’arte che parli dell’intimità tra chi si ama - aggiungesti,
indovinando i miei pensieri. Capivo perfettamente cosa volessi dire: la tua
comprensione dei miei demoni mi aveva riempito l’anima del desiderio di
accettare i tuoi, anche quelli più imbarazzanti. Ti avevo confessato i miei
segreti, e volevo conoscere i tuoi. La nostra connessione emotiva aveva creato
un’attrazione sessuale che era il riflesso della nostra complicità.
-Non parlare di sesso in maniera così esplicita,
lascialo da parte per un altro libro - mi dicesti, dopo aver letto quello che
avevo scritto. Lo cancellai, ma c’era una frase che volevo lasciare, per
esprimere quanto mi era piaciuto fare sesso orale insieme.
-Cancellala. Questo non è il racconto adatto per
queste digressioni – mi hai detto.
-Qui è dove parlo del mio incidente e del modo in cui
sono venuto a patti con la realtà.
-Cambia qualche dettaglio, non dire tutta la verità.
-Ma in questo modo i lettori non sapranno mai cosa è
vero e cosa non lo è. E’ come se li stessi prendendo in giro, qualcuno di loro
potrebbe anche rimanerci male – ho provato a spiegarti.
-E allora? Si tratta di storie.
-Quindi, come dovrei cominciare? – ti ho chiesto.
-Scrivi questa frase, in uno dei dialoghi: “Solo una donna sa come ci si sente quando
il suo corpo è penetrato dal membro di uno stupratore”.
-Ma è troppo brutale! E poi non è vero, sarei un
bugiardo se lo dicessi.
-Che importa se lo sei. Non sarai tu a dirlo, puoi
farlo dire da uno dei personaggi.
Amo la tua complicità, Celine, e anche se ci sono
stati dei momenti in cui ho pensato che non esistessi, sento che ci sei e che
riesci a decifrarmi. Sei qui con me, mentre sento e scrivo.
-Si, ci sono. Tu credi che sono frutto della tua
fantasia, ma sono qui. Non ho provato le tue sensazioni sulla mia pelle, ma ero
lì con te. Non te ne sei accorto? – mi hai risposto.
-Si, credo di si. Hai vissuto la mia storia a modo
tuo, e mi fa piacere che tu lo abbia fatto. Ma come reagirebbe un lettore che
fosse un uomo?
In quel caso
non ti preoccupare, mi hai detto: se sono arrivati
fino a questo punto, proveranno empatia. Avranno pietà sia di me, che di te.