mercoledì 6 settembre 2023

Il messaggero Carlos


 Presto la versione elettronica della 'raccolta di racconti del bloody migrant' sarà disponibile solo su Kindle


Subito dopo essermi tolto la vita, la prima persona che incontrai fu Carlos. Proprio lui, Carlos, e non qualcun’ altro, come per esempio mia nonna, che era esattamente la persona che mi sarei aspettato di incontrare se avessi saputo che c’è gente ad aspettarci dopo la morte. Ma così è la vita, si commettono errori di continuo, ed io cominciavo già col piede sbagliato, equivocandomi, e così al posto di mia nonna, o di Manola, mi apparve Carlos.

Non fu neanche Dio ad apparirmi, e qualcuno tra voi penserà che è probabilmente occupato a ricevere altre persone, o magari starà godendosi una pausa dai suoi tanti impegni, facendo chissà che, però di una cosa sono certo: a quelli che si sono ammazzati non gli parla, per lo meno non a me, forse perché ce l’ha con me. Non vidi nemmeno il Diavolo per fortuna, né alcun santo, d’altronde io, da ateo, certamente non me lo aspettavo. Insomma, non ebbi nessuna visione religiosa, né scorsi alcun personaggio importante che mi avrebbe potuto interessare. Essendo venezuelano, mi potrebbe piacere farmi una chiacchierata con quel poveraccio di Bolivar, che quasi sicuramente appare solo ai chavisti, giusto per dargli una bella strigliata ogni tanto, e se così fosse, spero che abbia riempito di botte quel disgraziato di Chavez. Ma in realtà non accadde nulla di tutto ciò e non vidi nessun personaggio importante, né alcun parente o qualche antenato, e nemmeno la mia cara nonna, che mi dedicava tanto tempo raccontandomi storie.

Non fu uno sconosciuto ad apparirmi, o un qualche funzionario dell’oltretomba, ma Carlos, un amico che avevo conosciuto durante il mio ultimo periodo in Inghilterra, prima di suicidarmi. Ci eravamo incontrati presso il Refugee Council, dove io lavoravo come adviser e advocate, che in pratica significa che il mio compito era quello di sedermi dietro ad un tavolo in una stanzetta senza finestre ad ascoltare le storie di quei migranti pieni di rabbia e frustrazione, per poi dar loro qualche consiglio su come fare per uscire dai guai in cui si trovavano, che spesso erano peggiori dei miei, e non è una cosa da poco, dato che sono sempre nei casini, non solo quelli che la vita mi distribuisce con generosità, ma anche quelli che mi creo da solo, che non sono pochi. Il mio ruolo era quello di aiutare i rifugiati durante il periodo di attesa dei documenti necessari per vivere in Gran Bretagna, che può durare anche più di dieci anni, e assicurarmi che il governo britannico li trattasse degnamente. Il mio compito non era affatto facile, soprattutto a causa dei funzionari di un organismo dipendente dal famigerato Home Office, chiamato NASS, conosciuto a livello internazionale per la sua cieca cattiveria, che sembrava essere addirittura peggiorata dopo la Brexit. Questi funzionari, difficili da dimenticare perfino nell’aldilà, erano convinti che la loro missione nella vita fosse quella di rendere l’esistenza di quei rifugiati misera, lugubre e priva di libertà. Uno dei malcapitati contro il quale si accanirono maggiormente, fu proprio il povero Carlos.

Il giorno che lo conobbi mi resi conto di quanto i miei colleghi al Refugee Council fossero incapaci di comprendere realmente la situazione dei rifugiati. Non che io fossi un rifugiato come loro, anzi non facevo neanche parte di quella categoria secondo la definizione legislativa, infatti a differenza loro ero in possesso di una cittadinanza, quella che avevo ereditato dai miei antenati italiani, che mi permetteva di attraversare qualunque frontiera desiderassi; mia mamma mi aveva sempre parlato in italiano, correggendo gli spagnolismi che a volte si mescolavo alla sua lingua d’elezione, e mia nonna mi raccontava storie della sua infanzia in Italia, che a volte registrava su nastro in modo che potessi ascoltarle anche quando non c’era. Nonostante i miei colleghi fossero a conoscenza delle mie origini italiane, sapevano anche che ero scappato dal Venezuela a causa del governo di Chavez, poco prima che il chavismo mostrasse il suo vero volto al mondo, e mi consideravano per questo un rifugiato anche se in realtà non lo ero, per lo meno da un punto di vista giuridico. E così un giorno un collega mi disse, con tono complice:

-Hey Fabrizio, è venuto  un signore venezuelano, sono sicuro che ti va di conoscerlo …

La segretaria della reception aveva aggiunto, anche lei con una specie di atteggiamento solidale:

- Fabrizio, un compaesano!

L’addetto alla sicurezza, un pakistano di Bradfort che parlava inglese con un forte accento tipico del suo paese di origine, si era unito al coro:

-Hey Fab, c’è un tipo del tuo paese, vuoi conoscerlo?

Come potevano pensare che io avessi alcuna intenzione di conoscere un altro venezuelano, se ero scappato da lì a gambe levate proprio perché non sopportavo più quella vita mediocre sotto il potere del chavismo? Neanche Carlos aveva alcun interesse a conoscere me: tutti e due evitavamo i venezuelani come la peste, per una semplicissima ragione: non volevamo correre il rischio di trovarci dinanzi ad un chavista, ancor meno un chavista in incognito. E’ ovvio che, in un paese freddo e buio come l’Inghilterra, ci siano giorni in cui si senta la mancanza delle hallacas, delle arepas e del queso de mano, e soprattutto della bulla de fondo che è un elemento tipico della Colombia e di tutto il Caribe, con quel ritmo inconfondibile di cumbia e salsa, però nessuno vuole rischiare di avere a che fare con i responsabili del degrado del nostro paese. E poi c’è sempre il dubbio che possa trattarsi di una spia che il governo ha inviato per investigare su di noi, in qualcosa dovrà pur spenderli tutti quei reales il governo chavista, non potrà mica rubarseli tutti. Mi rimaneva il dubbio di come fosse possibile che i miei colleghi inglesi non potessero immaginarsi tutto questo, nonostante gli avessi spiegato centinaia di volte che il governo di Chavez era una truffa bella e buona. Alla fine lo conobbi e contro ogni aspettativa diventammo amici, infrangendo così le regole del Refugee Council, le leggi della Gran Bretagna e le sue norme di comportamento, e nonostante passassimo poco tempo insieme, erano momenti preziosi, di qualità, durante i quali condividevamo un’intimità che solo si riesce ad avere con persone del proprio paese di origine, mangiando arepas de reina pepiadas e taquenos improvvisati e ricordandoci di Juan Griego, della spiaggia di Guacuco  e della sua zuppa locale. Carlos divenne un amico, anche se lo fu solo per un breve periodo, e come stavo raccontando, quando aprii nuovamente gli occhi dopo essere morto (e che sia chiaro a tutti che quest’idea dell’ aprire gli occhi è solo una metafora per dire che ebbi modo di vedere il mondo dell’aldilà), fu proprio lui che vidi lì dinanzi a me, con l’aria più tranquilla del mondo. Che vita assurda, o meglio, che vite assurde pensai, sia quella prima di morire che quella dopo, mentre Carlos mi guardava sorridendo, con aria sorniona. Per un po’ di tempo, nessuno dei due parlò.

-Scusami Carlos, però non capisco … sono confuso – dissi finalmente.

-Non preoccuparti, ci sentiamo tutti un po’confusi dopo essere morti – mi disse, ed io rimasi colpito per la  logica coerente ed al tempo stesso assurda di quella situazione  così complicata. Proprio in quel momento pensai che la cosa migliore sarebbe stata quella di fargli una domanda intelligente, perché non potevo assolutamente permettermi di cominciare quella nuova vita con tanti errori. Non sia mai che in questa nuova vita dopo la vita non riesca a fare di meglio, sarebbe il colmo! Ma la situazione peggiorò nel momento in cui Carlos, dopo essersi seduto su una poltrona (eh già, ci sono poltrone e quant’altro anche nell’aldilà), disse queste parole con aria di noncuranza:

- Il Comitato ha stabilito che fossi io il primo a parlare con te.

-Ah ah – pensai. Questa dichiarazione era talmente lontana da ciò che avrei potuto immaginare che potesse accadere in un mondo parallelo alla realtà da sembrarmi una completa fesseria, ma nonostante ciò mi sarei aspettato qualcosa di completamente diverso da questa prima frase pronunciata in quel tono così freddo e meccanico. Mi sforzavo per accettare quella nuova realtà così assurda, mentre una valanga di pensieri e idee si accumulavano nella mia testa, come per esempio il fatto che ci sia vita dopo la morte, che esista quindi un’altra opportunità. Proprio io, che ero stato ateo durante tutta la mia esistenza precedente, non avrei mai immaginato che ci potessero essere persone ad aspettarci dall’altra parte, come Carlos. Ma questa apparente fortuna ha un risvolto negativo, proprio come nella vita precedente, perché queste anime si riuniscono in Comitati, e l’ultima cosa che uno spera dopo essere morto è quella di ritrovare una burocrazia nell’aldilà, con tanto di emissari e incaricati. Al diavolo il Comitato e tutta questa farsa, certamente non sono morto per risvegliarmi in un ufficio. La mia mente era in subbuglio, proprio come nella mia vita precedente, e notai che la poltrona nella quale stava seduto Carlos era rossa, di quelle morbide e comode su cui poter adagiare mollemente il proprio corpo, ma perché sedersi in una di quelle poltrone se non si possedeva neanche un corpo vero e proprio ma solo una pallida copia di esso?

Dio mio, pensai. Adesso posso proprio dirlo. Magari quando meno me lo aspetto, me lo vedo apparire davanti mentre pedala beatamente su una bicicletta, o magari mentre mangia un bel pollo arrosto, chissà. La mia mente saltava da un pensiero all’altro, come se volasse, ma non durò a lungo perché Carlos disse, dopo quel breve silenzio:

-Dunque, il Comitato non ha approvato la tua decisione di suicidarti -. Proprio ciò che mi mancava, pensai.

Avevo appena cominciato quella nuova vita da morto e avevo già infranto delle regole, ero già diventato un criminale, ma la cosa peggiore era che mi avevano scoperto ed erano venuti ad ammonirmi. Quella nuova realtà cominciava proprio male e per giunta non mi facevano neanche la cortesia di lasciarmi morire in pace. Se dopo essersi ammazzati si torna a vivere, l’ultima cosa che uno vorrebbe è quella di essere giudicato per la propria decisione, eppure la mia nuova vita cominciava da dissidente, proprio come la vita precedente, con questa ossessione di guardare le cose in maniera distinta a come le vedono gli altri, alla faccia dei loro Comitati. La somiglianza tra quei due mondi, quello dell’aldilà e quello della mia vita terrena, cominciava a spaventarmi. Ma in questa nuova dimensione il mio istinto di sopravvivenza mi spingeva ad aspettare e ragionare, anche solo per poco tempo, prima di esprimere il mio disaccordo; nella mia vita precedente invece, ero abituato a dire la mia in maniera impulsiva, senza preoccuparmi delle conseguenze. Me iba de bocon, da bravo creolo, terminando sempre in qualche guaio. Decisi quindi di aspettare e capire meglio quale fossero le procedure e le modalità di quella nuova vita, e smettere una volta per tutte di sentirmi un disadattato ogni volta che mi ritrovavo a vivere. Mi feci coraggio e decisi che avrei approfittato di quell’amicizia che avevo proprio tra le fila del Comitato che mi giudicava: Carlos poteva diventare  il mio trampolino di lancio nell’aldilà, e così decisi di provocarlo con una domanda che lo avrebbe costretto a mettersi nei miei panni, cominciando una lunga serie di sotterfugi e stratagemmi proprio come nel mondo che avevo conosciuto in vita. Interrompendo il suo discorso, gli dissi:

-Ascolta Carlos, non starai mica cercando di dirmi che le tue ragioni per ammazzarti erano giuste, e le mie no?-. Mi resi immediatamente conto della mancanza di tatto delle mie parole,  e pensai che quella strategia avrebbe forse potuto funzionare nell’altra vita, ma chissà se anche in questa. Appena mi ebbe risposto, mi resi conto che almeno una cosa era rimasta uguale: la nostra amicizia.

-I ricordi terribili di quando quei maledetti del collettivo di Serra mi affogarono nel Guaire e mi fecero mandare giù tutta quella merda non mi davano pace. Non ne potevo più – mi disse tranquillamente, giustificando il suo suicidio.

– Non dimenticarti che qui sappiamo tutto- aggiunse. Facevo fatica a mantenere la lucidità. Capivo che la franchezza con cui mi aveva risposto era la dimostrazione che la nostra amicizia proseguiva, ma quella situazione continuava a confondermi e non mi era affatto facile seguire il suo ragionamento né potergli rispondere. Quando mi disse che nell’aldilà erano a conoscenza di tutto, ne fui terrorizzato. Ciò voleva dire che non esisteva alcun tipo di privacy in quel mondo, nonostante non avessi molto da nascondere, però questa rivelazione dava spazio a mille altre domande sul funzionamento di quel mondo dove addirittura vi erano Comitati che si affannavano a giudicare se una persona si fosse suicidata per le ragioni corrette. Ma siccome il cameratismo e la franchezza sembravano essere gli stessi in quel nuovo mondo, gli risposi:

-Non essere imbecille, tu avevi moltissimi amici in Inghilterra, una nuova vita, addirittura un gruppo rock con cui avevi cominciato a suonare. E ti sei ammazzato come uno stronzo. Non ci posso credere.

Carlos rideva mentre con le mani faceva dei gesti come se volesse dirmi di andare avanti, tanto non sapevo nemmeno quello che stavo dicendo. Ed io continuai:

-Addirittura la polizia venne ad investigare se la tua morte fosse stata in realtà un omicidio- dissi, per metterlo a disagio. Fece un gesto come per cercare di sminuire ciò che avevo appena detto. Nonostante la sua apparente indifferenza, mi feci coraggio e continuai, alzando un po’ la voce:

- Il giorno del tuo funerale, se avessi visto … - ma non mi fece terminare. Con un brusco gesto della mano mi interruppe, lasciandomi in balia dei miei ragionamenti che fluivano a tutta velocità. I ricordi di quel giorno riaffioravano improvvisamente alla memoria, mentre Carlos guadagnava tempo per formulare la sua risposta. Era stato uno dei funerali più belli a cui avessi mai partecipato, nonostante avessi sempre pensato che si trattasse di avvenimenti piuttosto macabri. Improvvisamente tutti si ricordano di quanto ti hanno amato, anche coloro che neanche ti saluterebbero se ti incontrassero per strada. Avrei voluto raccontargli che quel giorno ci riunimmo per compiangerlo, ed io ero l’unico venezuelano tra tutti i partecipanti. Eravamo increduli e confusi per quell’inaspettata morte che Carlos si era procurato iniettandosi una dose di insulina nel corpo, senza neanche essere diabetico. Eravamo tutti lì disperati, chi seduto sul divano, chi per terra. Uno dei presenti, un uomo a piedi nudi con una sciarpa rossa sulle spalle, si era alzato all’improvviso e aveva cominciato a fare un discorso su quanto Carlos fosse stato una persona straordinaria, accennando a dei particolari che non ricordo esattamente ma che probabilmente avevano a che fare con la sua passione per la musica, soprattutto per la chitarra elettrica, e aveva concluso il suo discorso chiedendoci di ricordarlo così. Era seguito un lungo silenzio, dopodiché un’altra amica, anche lei senza scarpe ma con indosso un calzino di un colore e uno di un altro, aveva preso la parola e aveva condiviso un altro ricordo sul defunto, raccontando di un giorno in cui Carlos aveva preparato delle arepas che lui aveva giudicato immangiabili, e fece una battuta a cui tutti avevano riso tranne io, perché fui l’unico che non la capì. Quello che volevo dirgli era che se avesse saputo quanta gente lo amava non gli sarebbe mai passato per la testa di suicidarsi. Avrei voluto fargli capire che la sua vita era stata ben diversa dalla mia, ma con quel repentino gesto mi aveva chiesto di tacere e fatto capire che c’era qualcosa che non sapevo ma che presto mi avrebbe rivelato. Morivo dalla voglia di raccontargli del discorso che aveva fatto Lou, che mi aveva particolarmente colpito perché sapevo che si adoravano, la quale aveva ricordato il giorno in cui si erano conosciuti a Caracas, quando Carlos era ancora un chavista e lei stava scrivendo la sua tesi di dottorato sull’autonomia alimentare del Venezuela, anche lei piena di entusiasmo per il processo rivoluzionario del paese. Volevo dirgli di quel discorso, ma nuovamente mi indicò di fare silenzio, finchè finalmente parlò:

- Ho visto il mio funerale, anzi i miei tre funerali – mi disse con una risata leggermente sarcastica, ma benigna.

- Cavolo, hai visto il tuo funerale? - risposi a bocca aperta, anche se ormai stavo abituandomi a quelle continue sorprese, e avrei voluto chiedergli di quegli altri funerali di cui non sapevo nulla, perché oltre quello ufficiale a distanza di pochi giorni dalla sua morte, ce n’era stato solo un altro, diciamo informale, il giorno in cui la polizia aveva restituito il corpo.

-Si, certo - disse – E’ stato il giorno più bello della mia vita, peccato che fossi morto. Tutti ti vogliono improvvisamente un mondo di bene e fanno dei bellissimi discorsi su di te. Quando ho fatto vedere il video di quella giornata agli altri compari venezuelani quaggiù al Cinetrip, sono morti d’invidia.

-Ah - risposi, come se quell’accenno ad un cinema nell’aldilà fosse una cosa del tutto normale, e per cercare di mantenere quel tono più rilassato e divertente aggiunsi:

-Se lo avessimo saputo, avremmo potuto organizzare i nostri funerali prima di morire, cosi poi invitiamo qualche amico e ce li riguardiamo insieme nel Cinetrip.

-Non sei cambiato affatto - mi disse. – Sei sempre il solito burlone.

-Beh, non è che si muoia tutti i giorni, bisogna approfittare dell’opportunità. Se fossimo a conoscenza di questa vita dopo la morte, sicuramente in Venezuela si organizzerebbero delle vere e proprie feste e i funerali sarebbero certamente meno macabri.

Il nuovo tono che aveva preso la conversazione mi aveva fatto quasi dimenticare del tutto quel fastidioso problema del Comitato e della validità o meno del mio suicidio, mentre avrei voluto continuare a parlare del Cinetrip perché mi sembrava una cosa davvero divertente e interessante, e stavo già cominciando a domandarmi se in quella nuova vita avrei sentito la mancanza di tante altre comodità a cui ero abituato nella mia vita terrena, come il telefono cellulare ad esempio. Ma all’improvviso il pensiero di ritrovarmi con tutti i problemi della vita pre-morte mi assalì, e avrei voluto chiedergli che mi desse qualche informazione in più, ma non feci in tempo. Con un tono nuovamente serio e solenne, Carlos riprese a parlare:

-Allora, amico mio, ti ripeto che da parte del Comitato non abbiamo potuto accettare il tuo suicidio.

-Non mi starete venendo a dire che devo pagare una multa o qualcosa di simile! Non crederai mica di essere l’unico ad essersi ammazzato per le ragioni corrette. Hai visto quanta gente c’era al tuo funerale …

- Ascoltami - disse interrompendomi, senza perdere la calma - il giorno del mio funerale Lou disse che eravamo stati molto vicini ed io le voglio molto bene. Mi fece vivere in casa sua e fece in modo che la mia famiglia mi trattasse come un figlio, però non volle mai aiutarmi con le cose riguardanti il nostro paese. La sua tesi universitaria fu usata come prova per dimostrare che le politiche alimentari del Venezuela erano valide, perfino la FAO ci credette. Non prendiamoci in giro, queste cose mi fanno ancora stare male.

Sapevo che per Lou era stato difficile accettare le nostre denunce su quello che stava accadendo in Venezuela, ma alla fine, per coerenza e onestà intellettuale, aveva smesso di difendere i principi dietro il processo rivoluzionario boliviano, anche se non volle mai affrontare quella realtà che aveva scoperto in prima persona, ovvero che i militari boliviani sono dei corrotti, dei bugiardi e dei torturatori, soprattutto quando le dicevo che i socialisti devono assimilare il concetto di controllo del potere e imparare a gestirlo, proprio come qualunque democrazia liberale. Ciò che stava accadendo in Venezuela la destabilizzava perché la poneva in una posizione di antagonismo rispetto al partito Labourista, per cui bisognava appoggiare Chavez o si rischiava di essere giudicati dei venduti. Nel frattempo i giornali avevano scritto che Carlos soffriva di disordine post-traumatico e si era suicidato perché non riusciva a sopportare i ricordi di quando lo avevano torturato. Mentre pensavo a tutto ciò, Carlos andava avanti col suo discorso.

-Sul piano personale, Lou fu sempre dalla mia parte. Il ricordo di tutto ciò che fece per me mi commuove, e penso che abbia fatto più di quello che io feci per lei. Nessuno mi credeva quando denunciavo ciò che sapevo sul chavismo, ma a lei l’avrebbero ascoltata, almeno all’interno del suo circolo di amici, gli amici degli amici, i suoi colleghi e così via. Purtroppo Lou credeva che gli abusi di Serra fossero un caso isolato dentro l’ingranaggio del sistema, nonostante il suo legame con quel figlio di puttana di Diosdado. Per lei si trattò sempre di personaggi corrotti che indebolivano il governo chavista e non le passò mai per la testa che tutto il sistema potesse essere un errore, un’enorme bugia e un trampolino di lancio per costituire una nuova oligarchia da parte dei militari: la boliborghesia.

-Un momento – lo interruppi. - Guarda che non sono mica un sostenitore della sinistra inglese, conosco molto bene Diosdado e i suoi seguaci.

-Eppure, anche tu mi hai tradito! – disse, alzando leggermente la voce

- Come?- chiesi.

-Per cominciare, non partecipasti mai agli eventi che volevo organizzare all’università per sensibilizzare l’opinione pubblica su quello che stava accadendo in Venezuela.

- Ma non ne valeva la pena! - mi giustificai – Lo sai anche tu che agli inglesi non importa niente dell’opinione degli altri,  credono di sapere sempre più di tutti. Con uno come me non si mettono neanche a discutere. Prima fanno finta di ascoltarmi, poi fanno donazioni all’ambasciata venezuelana per contribuire al mantenimento dello status-quo. Non ci crederai, ma l’ha fatto perfino gente che era al tuo funerale.

-Anche tu mi hai tradito. E in un modo più profondo, quindi ancora più grave.

-Ancora con questa storia? E come ti avrei tradito?- chiesi quasi con rabbia.

-Il giorno del mio funerale, mi facesti una promessa. Dicesti che avresti scritto una storia su Sofia, ti ricordi? E le promesse ai morti ammazzati si devono mantenere, altrimenti si incorre in un’infrazione gravissima. Così grave da essere ritenuta un vero e proprio crimine nell’aldilà, per questo il Comitato ti sta alle calcagna.

Mi ero quasi nuovamente dimenticato di dove mi trovassi, di quello che era successo e che mi trovavo già nei guai nonostante avessi appena cominciato una seconda vita dopo la morte. Avevo commesso un crimine nell’aldilà, peraltro contro un amico e un compatriota.

-Porca miseria, perdonami, non era mia intenzione di tradirti. Quando feci quella promessa ero sincero, ma le cose poi hanno preso un’altra piega.

-Ascoltami – mi rispose -  gli scrittori in difficoltà riescono a trovare l’ispirazione per scrivere meglio di quelli a cui la vita scorre senza alcun problema.

-Sono d’accordo, amico mio – cominciai a spiegargli – ma mi hanno licenziato da tutti i lavori che ho provato a fare.

- Ma la storia che mi avevi promesso di scrivere, perché non l’hai scritta? Ti avevo creduto e non immagini neanche quante speranze avevo riposto in te.

Avrei voluto provare a giustificarmi, dandogli qualche altra spiegazione sulla mia malasorte e le mie miserie terrene, ma non mi lasciò parlare.

-Fabrizio, devi capire una cosa: in questo nuovo mondo dell’aldilà siamo tutti in attesa di qualcosa, e impariamo ben presto l’arte della pazienza. Adesso toccherà anche a te di imparare questa grande arte. E’ stata proprio l’impazienza a spingerti al suicidio, e questo è inaccettabile. Tu volevi vivere e scrivere e avresti trovato la maniera per farlo, però hai deciso di ammazzarti.

Avrei voluto rispondergli che non era stata l’impazienza a farmi morire, ma proprio il bisogno di vivere e la sua conseguente impossibilità, perché io in effetti volevo vivere ma non ci riuscivo più, costretto com’ero a portare avanti un’esistenza precaria e a lavorare in qualunque condizione, perfino ritrovandomi a tagliare rametti d’uva pur di sopravvivere.

-La pazienza, amico mio … - riprese.

-Fammi spiegare, Carlos …

-Porca miseria, Fabrizio! Ascoltami!- urlò all’improvviso.

-Ma quale pazienza! Mi stai urlando nelle orecchie! – gridai. Quel mondo assomigliava davvero a quello vecchio.

-Ascoltami, Fabrizio. Non permetteremo che tu muoia.

-Eh no, amico mio, questo proprio non posso accettarlo! Tutti coloro che muoiono rimangono morti, poi arriva il mio turno e cosa scopro? Di essere il primo ed unico morto che deve tornare in vita, ma com’è possibile? Non voglio nemmeno pensare allo spavento che potrei causare a tutti quelli che mi hanno conosciuto, penseranno che sono un fantasma, o ancora peggio, uno zombie.

Intanto Carlos continuava a ridere tra sé e sé, mentre cercavo di far valere le mie ragioni

-Ma se nessuno si accorge che sei morto, ti possiamo far tornare in vita senza alcun problema.

-No, amico mio, per favore, non sopporto più quella vita, portami da questo maledetto Comitato che ci parlo io con loro. Voglio continuare ad essere morto in quella vita e ricominciare da capo in questo mondo, posso esservi utile anche qui, te lo posso giurare.

-Perfino da morto continui ad essere testardo. Addirittura vuoi continuare a darti da fare in questo mondo, magari cercarti un lavoro qui. Mi viene da ridere, però non possiamo accettarti qui, mi dispiace.

-Non ti dispiace affatto.

-Non dire così. Ci dispiace davvero, e per questo motivo vogliamo aiutarti a scrivere il tuo libro.

Adesso le cose cominciavano a prendere una piega diversa. In fin dei conti, potevo anche tornare in vita, in fondo non sarei stato di certo l’unico a dover vivere per sempre, il colmo della sfortuna per colui che si suicida. Va bene, pensai, avrei prestato attenzione a tutti i dettagli riguardanti il mio ritorno nel mondo.

-Tutti coloro che ritornano in vita non ricordano nulla dell’aldilà - Carlos cominciò a dire - Però con te faremo un’eccezione, perché devi assolutamente portare avanti il tuo libro. Quindi, ricordati queste parole: devi tornare indietro e cercare i mezzi per continuare.

Adesso le cose si mettono male, pensai, perché avevo provato a farlo in ogni modo ma non c’ero riuscito.

-E ci riuscirai – aggiunse.

Questo mi piace, a patto che non mi ci vogliano altri vent’anni.

-Noi ti daremo un indizio di dove cercare. Dai un’occhiata al tuo telefono e al tuo computer. E’ tutto.

-Eh no, non mi potete lasciare così! Ditemi di che vivrò!

E proprio in quel momento mi risvegliai. Ero di nuovo nella mia stanza, e accanto al letto vidi il comodino e il tubetto di pillole che avevo ingerito per ammazzarmi. Porca miseria, ero tornato nel mondo dei vivi, e non potevo neanche pensare di riprendere quelle pillole ed ingoiarle, perché di sicuro al risveglio me le sarei ritrovate di nuovo  su quel comodino ad aspettarmi, all’infinito. Mi alzai dal letto e mi avvicinai alla finestra, e quando scostai la tenda, vidi il cielo coperto di nuvole e capii che ero di nuovo in Inghilterra. Che peccato di non avere avuto neanche il tempo di rivedere il mio funerale al Cinetrip, né di salutare mia nonna o tutti i miei amici più cari. Se avessi saputo prima come stavano le cose nell’aldilà, non avrei perso tempo come mi sembrava di aver fatto. Presi il telefono e controllai tutte le applicazioni, ma non trovai niente. Poi feci lo stesso col computer, ma non c’era nulla neanche lì. Guardai di nuovo, e vidi che le pagine del libro che avevo cominciato a scrivere erano state eliminate, e ricordai che le avevo cancellate prima di suicidarmi perché non volevo che il mio romanzo fosse pubblicato postumo senza alcuna correzione. Rimanevano solo i miei racconti, perché li avevo salvati su una pagina web. Al diavolo il Comitato e tutti i morti dell’inferno, porca miseria!

Decisi di uscire e cercare qualcuno che potesse dare un’occhiata al mio computer. Presi un autobus, dato che avevo venduto la mia macchina, e mentre aspettavo di arrivare a destinazione, sento il suono della notificazione di un messaggio sul telefono. Era un mio amico, Arturo, un banchiere che aveva guadagnato una fortuna grazie alle sue connessioni con il governo boliviano dopo essere diventato chavista. Purtroppo era caduto in disgrazia ed era anche finito in carcere per alcuni reati minori, e l’ultima volta che avevo parlato con lui mi aveva confidato che aveva perso parecchi milioni durante la crisi.

Il suo messaggio diceva: “ Ciao Fabrizio, ci sei? Sto per compiere sessant’anni e non so più cosa fare. Che progetto cominceresti se fossi al posto mio?”. Decisi di rispondergli con un messaggio vocale, e cominciai a parlare in spagnolo mentre registravo la mia voce col telefono. Con la coda dell’occhio, vidi una donna piuttosto anziana che mi guardava infastidita, e anche suo marito che era seduto accanto a lei sembrava quasi arrabbiato. Con un forte accento del nord, la donna cominciò a parlare rivolta verso di me:

-Now that we’ve won the referendum, we’ll have Brexit. You better speak English.

Senza scompormi, le risposi:

-Finchè le mie tasse continueranno a pagare le vostre pensioni, parlerò la lingua che mi pare - Gli altri passeggeri, all’udire quella risposta, applaudirono all’unisono. Significava che non tutto era perduto. In quel momento apparve Carlos.

-Che ci fai qui? – gli chiesi.

-Sono venuto a dirti che ci siamo sbagliati, Arturo non ti aiuterà.

-E chi mi aiuterà allora?

-Nessuno.

-E come farò?

-Non ne ho idea. Prova a scrivere un racconto su quanto sia difficile scrivere la storia di Sofia … poi se ti stufi dell’Inghilterra puoi sempre andartene in Italia, nella terra dei tuoi avi.

-Ma io scrivo tutto in spagnolo – risposi.

- Conoscerai Isabella, a Palermo. Lei tradurrà tutto.

 

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