(Uno dei volti di Palermo)
Sono
rimasto lì, a scrivere, ma non ho scritto niente. Pensavo alla padrona
dell’orsacchiotto e volevo raccontarle che anche io sono un migrante che ne ha combinate
di tutti i colori. Ho persino scritto un blog che si chiama "bloody
migrant," cioè, maledetto migrante, e il maledetto migrante sono io.
Volevo dirle: non vergognarti della tua mamma, anche se ha fatto la puttana,
anzi, sii orgogliosa, soprattutto se lo ha fatto, perché probabilmente lo ha
fatto per te. E così, mentre pensavo queste cose, scrivevo altre e cancellavo
altre ancora, sono rimasto lì nell'esposizione. Il posto del esposizione é un ristorante, un co-working,
un'impresa solidale. Un posto la cui decorazione mi dice che noi, i maledetti
migranti, siamo benvenuti. Intanto, ero allegro perché aspettavo l'opportunità
di andare in giro, scherzare amichevolmente con qualcuno. Scrivevo e
cancellavo. Mi ero fatto tutta una chiacchierata imaginaria con la padrona
dell'orsacchiotto.
I visitanti
dell'esposizione se ne erano andati da un po' quando è apparsa una ragazza
bionda, probabilmente cliente del ristorante. Certo, una cliente, ma potrebbe
essere lei, al meno potrebbe essere russa. Qualche giorno prima avevo già parlato con
una russa che studiava letteratura italiana, ma non la ricordavo bene;
assomigliava a lei. Notavo che scattava foto a tutti gli oggetti in viaggio
esposti. Li osservava a lungo, come se volesse cogliere il dolore che portano.
Prendeva foto dei racconti dietro gli oggetti, come se li volesse studiare con calma,
anche dopo. Ero incuriosito da questa ragazza bionda, di aspetto nordico, desiderosa di capire i
migranti. Sicuramente una privilegiata che studia qui a Palermo, o una turista.
Intanto, la mia allegria spariva. Diventava sempre più chiaro che non sarei andato a spasso con nessuno. Si sono dimenticati di me. La dolce allegria diventava amara. La frutta al massimo della maturità comincia a marcire. Intanto osservavo questa ragazza bionda cercando di non essere osservato. La osservavo, facendo finta di niente, e intanto mi chiedevo perché i greci della ONG che aveva organizato l'esposizione mi avessero evitato per andare in giro. Sapevano di me, sicuramente ricordavano che mi avevano detto che avremmo fatto qualcosa quando fosse finita l'esposizione. Prima non potevano, non avevano tempo. Avevo suscitato un certo interesse, ne sono sicuro. Ma, come al solito, l'interesse non si è trasformato nella voglia di prendere una birra. Nei giorni precedenti non avevano tempo e mi avevano detto che ci saremmo visti l'ultimo giorno. Erano in viaggio, volevano evitare le complicazioni di prendere una birra con uno squattrinato, e pieno di guai. Guardavo alla bionda che continuava ad assorbire ogni oggetto, cogliere tutto, non lasciarsi sfuggire niente. E ricordavo gli altri che ho visto all'esposizione; se ne sono andati. Una coppia, chissà, magari a fare l'amore. La mia unica amica, ad accompagnare sua figlia. Gli altri non so. Tutti avevano i loro impegni. Nessuno ha tempo. Avevo chiesto a tutti se volessero uscire. Ero molto contento e volevo condividere la mia allegria. Ma alla fine mi sono rattristito perché una gioia solitaria diventa amara, marcisce.
La ragazza
bionda era ancora lì. Allora ho notato che la ragazza non aveva scattato la
foto dell'orsacchiotto. "Ma perché non guarda l'orsacchiotto e fa amicizia
con la padrona del orsacchiotto?" La padrona sarà come me, boh. Poi si è fermata di fronte a
me; non so cosa guardasse. Magari c'era qualcosa scritto alle mie spalle. Non
so come ma abbiamo fatto ma subito abbiamo cominciato il tipico scambio di
parole superficiali e poco impegnative di chi parla senza conoscersi. Le ho
chiesto di sedersi.
-Perché
dovrei sedermi? -Mi chiese e io ho pensato che mi direbbe che non ha tempo, che
ha un impegno, ma lo stesso le ho risposto
-Perché
voglio conoscerti. Voglio conoscerti bene.
E allora si
è seduta. Mi ha svelato i suoi segreti, e io i miei. Era la padrona
dell'orsacchiotto.
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